domenica 3 aprile 2016
Il fotografo dello storico settimanale ripercorre la stagione d’oro del reportage: «E adesso? Chi fa veramente il giornalista?». Il suo motto è «capire prima di scattare» Ma è possibile ai tempi del web?
Il fotografo Lotti: «Si è chiusa un'Epoca»
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«Amo questo Paese, è il mio Paese. Ma cosa vogliamo fare? Viviamo una situazione insostenibile, dal punto di vista culturale, del lavoro e della storia. Vogliamo per una volta fermarci e capire che ci stiamo giocando tutto a forza di cedere su tutto? Quale Italia vogliamo? Come vogliamo educare i giovani? E cosa vogliamo lasciare loro di questo affascinante mestiere? Chi, ormai, fa veramente il giornalista?». Giorgio Lotti, settantanove anni, non ci sta, non fa nulla per nascondere rabbia e amarezza per la deriva verso cui sta andando il mestiere di reporter, specchio o riflesso della deriva del Paese. Senza rassegnazione, anzi, con la grinta della prima ora, quella che lo ha fatto diventare uno dei sette storici fotografi della grandiosa stagione di “Epoca”, il settimanale in cui l’immagine non era un riempitivo o una gallery di una accattivante vetrina online che di informazione e giornalismo ha molto poco. “Epoca” ha fatto scuola. Almeno fino a quando il giornalismo sul campo ha retto. «E per questo poi l’hanno chiuso quel giornale, che con “L’Europeo”, trainava la stampa di qualità, costringendo in qualche modo anche gli altri ad adeguarsi, ma al rialzo». Nel lento e inesorabile declino dell’informazione, che paradossalmente avviene nel momento di massima opportunità mediatica e di successo dell’immagine, rileggere gli album di quella stagione è perfino “doloroso” per uno come Lotti. «La differenza la fa il contenuto. Sia sui giornali sia sui siti. Si dà la colpa del calo delle vendite a internet, ma anche i siti dei giornali che si lamentano sono pieni di fuffa. Internet è uno strumento bellissimo e una grande risorsa. Ma se trovo in tutti i siti d’informazione, come nei giornali, le stesse cose, un banale copia-incolla di comunicati, tante bufale, le immagini identiche dei ventisette fotografi che aspettano tutti i giorni l’ingresso del politico di turno davanti alla sede del Pd, o pessime foto scattate con i telefonini da fotografi improvvisati, per non parlare di video senza alcun valore, sarà un’ecatombe per questo mestiere.  Perché i lettori dovrebbero sostenere questo modo di fare “giornalismo”?». (...) Nella sua cinquantennale carriera Lotti, con la macchina al collo, è entrato dentro le notizie in Italia e nel mondo, per raccontare fatti e verità, senza filtro, ed è riuscito a ritrarre straordinari personaggi della politica, del teatro, dell’arte, conquistandone fiducia e rispetto. Con la capacità di passare dalla cronaca immediata e diretta al racconto di uomini e storie: dall’alluvione di Firenze agli sbarchi degli albanesi sulle coste pugliesi, ai ritratti di Craxi ad Hammamet o di re Juan Carlos che gioca con i suoi ragazzi, o ancora di Armani, Agnelli, Fellini, Moravia. (...) E poi Giorgio Bocca, Enzo Biagi, Indro Montanelli ed Eugenio Scalfari, “tutti insieme i quattro cavalieri della notizia”. Sono oltre cinquecento i ritratti di personaggi illustri immortalati da Lotti. (...) «Se non entri nei personaggi, se non mangi con loro, farai soltanto delle orribili belle foto». (...) Lo scatto che lo ha fatto entrare nella storia della fotografia mondiale non è italiano, ma cinese. Anche se nasce da un’intuizione all’ambasciata italiana a Pechino. È il visionario ritratto di Zhou Enlai, capo di governo della Repubblica Popolare Cinese (dal 1949 alla morte, nel 1976), divenuto l’immagine ufficiale del leader comunista, distribuito ovunque nel Paese asiatico. È stata la foto più stampata al mondo, in oltre cento milioni di copie. (...) Il suo motto «prima capire, poi fotografa- re» lo ha aiutato anche a immortalare giganti della cultura. Così con Giuseppe Ungaretti: «Lo chiamai: “Avrei organizzato una cena fantastica con il suo amato vino…”. “Grazie, cosa devo fare?”. “Venire a Roma, c’è una stanza già prenotata per lei”. “E perché?”. “Perché domani c’è la diretta dell’uomo sulla luna. E voglio vederla con lei”. Organizzai un monitor. Parlammo e cenammo. Continuammo a bere, mentre lui si raccontava e declamava le sue poesie… E quando arrivò l’uomo sulla luna scattò in piedi entusiasta e clic, ecco la foto». E venne il giorno di Eugenio Montale, 1975. «Andai a trovarlo a casa. Il tempo di salutarci e squillò il telefono. Faceva delle strane espressioni. Presi la macchina fotografica, senza invadere il campo o distrarlo. Lui si voltò e sorrise. Tutto a un tratto si commosse, si mise le mani sul viso così come nella sequenza pubblicata. Riagganciò la cornetta. “Una cattiva notizia, maestro?”. “No, affatto. È bellissima. Mi hanno appena comunicato che ho vinto il Nobel”». È anche fortunato, Lotti. «Sì, ma se sai interpretare quello che succede un minuto prima… Altrimenti non sarebbe stata la stessa foto». E conta esserci. Come nel 1966, per l’alluvione di Firenze. «Andai dal direttore, era Nando Sampietro. “Vado a fotografare l’alluvione di Firenze” dissi. “Ma sono già andati Mario De Biasi e Sergio Del Grande… non posso mandare anche te, dai...”. “Andrei con i miei soldi, non c’è problema, direttore”, risposi io. Andai. Tantissimi servizi fatti per “Epoca” nascevano così. Arrivai a Firenze. Mi fermai vicino a ponte Vecchio, mi sedetti sotto un porticato e aspettai l’ondata. Cominciai a fare foto. Rimasi immerso in acqua per ore, avevo addosso una miscela di acqua e petrolio. A un certo punto andai ad asciugarmi in un bar, quando un collega mi avvisò che mi stavano cercando urgentemente dal giornale. Telefonai. Era il direttore. “Siamo disperati, dimmi che hai fatto le foto...”. De Biasi non era riuscito a partire con l’elicottero e Del Grande aveva avuto dei problemi. “Tieni un servizio di sedici pagine?” “Certo, direttore”».  Nel 2002, quando Lotti ha lasciato “Panorama”, ormai il mondo dell’informazione virava verso altre strade, pilotato dagli uffici marketing e dalla facile via della leggerezza. «“Lotti, vorresti occuparti di gossip?”. Era troppo per me. Ho chiuso. Avevo capito abbastanza. Ora potevo fotografare. Ma altro. E mi sono dato all’arte e ai colori». Sì, si era chiusa un’epoca. 
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