giovedì 2 dicembre 2010
COMMENTA E CONDIVIDI
Da un secolo e mezzo è il quotidiano della Santa Sede, l’organismo di governo della Chiesa cattolica. Doveva chiamarsi «L’amico della verità», ma si preferì «L’Osservatore Romano». Fondato nel 1861 è un giornale «politico religioso» come si legge ancor oggi sotto la testata a ricordare il doppio obiettivo delle origini: sempre valido, ma da intendersi reinterpretando i due motti che l’accompagnano: Unicuique suum  («A ciascuno il suo», formulazione risalente a Ulpiano) e l’evangelico Non praevalebunt («Non prevarranno» con allusione alle potenze del male), quasi a rimarcare la duplice cifra – tra etica e fede – che caratterizza l’identità di un giornale nato per essere vindice dello Stato Pontificio, ma cresciuto con il traguardo di una vocazione universale. E che, soprattutto nel  Novecento, dilatando il suo respiro internazionalistico, ha avuto modo non solo di fare da megafono al papa e al magistero, ma di indicare, spesso in solitudine, strade di pace e di libertà. Nel frattempo tanta acqua è passata sotto i ponti del Tevere, dalla fine dello Stato Pontificio ai Patti Lateranensi del 1929, alle conseguenti polemiche con il regime, e altra ne è passata dal periodo bellico agli anni della guerra fredda fra le superpotenze, della decolonizzazione e della secolarizzazione. E pure il rapporto della Santa Sede nei confronti della Russia come degli Stati Uniti ha subito evoluzioni inattese. Lo ricordano in questo nuovo libro dedicato alla storia dell’«Osservatore Romano» i lucidi saggi, fra gli altri, di Gianpaolo Romanato, Giovanni Battista Varnier, Andrea Riccardi, Ennio Di Nolfo. Roberto Pertici, Giuseppe Dalla Torre. E sono questi ultimi  a sottolineare – nei loro contributi – il ruolo del quotidiano vaticano (specie attraverso la straordinaria rubrica «Acta diurna») di fronte al fascismo e al nazismo, dando conto pure del costante atteggiamento verso l’altro nemico storico della Chiesa: il comunismo ateo. Passano in rassegna in queste pagine i direttori all’«ombra del Sovrano», ma anche i collaboratori, che in qualche caso sono futuri papi. Se ne ha occasione rileggendo, ad esempio, i pezzi scritti da Eugenio Pacelli (siglati «L») nel luglio 1933 per precisare il valore del Concordato con la Germania:  era stato stipulato dalla Santa Sede con il Reich germanico in quanto tale e non con il regime nazionalsocialista, e perciò non significava affatto un’approvazione di quest’ultimo. Ma è anche interessante analizzare, sulle colonne dell’«Osservatore», quella relazione dialettica fra il giornale della Santa Sede e l’Italia, che, caratterizzata all’inizio da una neutralità qualificata (si pensi al referendum fra monarchia e repubblica del 1946), trova in seguito momenti costruttivi nelle visite dei presidenti in Vaticano e dei papi al Quirinale, senza che la Chiesa ceda al silenzio quando – insieme a ferite laceranti (divorzio, aborto, procreazione assistita…) – si riaprono i solchi nella società italiana. C’è questo ed altro ancora nel libro voluto per celebrarne il primo secolo e mezzo di vita del quotidiano che si stampa in Vaticano «ed è perciò in parte ufficiale, e in parte no», per usare le parole scritte dal cardinal Montini nel 1961 che lo giudicava «non  soltanto un giornale di idee (e di quali idee, vicino a San Pietro!)», ma pure «un giornale d’ambiente». Curato dal suo stesso direttore, Giovanni Maria Vian, insieme all’ambasciatore italiano presso la Santa Sede Antonio Zanardi Landi, il volume Singolarissimo giornale. I 150 anni dell’«Osservatore Romano» (Allemandi & C.), si apre con due testi "governativi" del ministro degli Esteri Franco Frattini e del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta (tesi a evidenziare con l’autorevolezza del quotidiano il suo carattere di global newspaper). E, solo dopo gli interventi dei curatori sull’opportunità di un avvio per una ricerca ancor più approfondita della quale Vian offre già uno squarcio (che si arresta al 2007 quando Benedetto XVI gli affidò l’incarico di rinnovare il giornale), ecco i saggi storici che affrontando diverse tappe o aspetti rilevanti raccontano cosa ha rappresentato il «singolarissimo giornale» (come lo definì il futuro Paolo VI) nel dibattito politico e culturale, italiano e internazionale. Dunque, sì, è vero: «L’Osservatore Romano» nacque contro la coetanea Unità d’Italia e i suoi artefici. Ma è pur vero che nel corso della sua storia, dopo decenni di intransigente contrapposizione, si è imposto progressivamente come una voce nuova nel Paese. Finendo poi per rispecchiare – già durante i quarant’anni della gestione Dalla Torre (1920-’60), poi i quasi venti di Raimondo Manzini (fino al ’78), i sette di Valerio Volpini (sino al 1984) e gli oltre venti di Mario Agnes (fino alla nomina di Vian) – la nuova maturità del rapporto tra cattolici e laici in Italia così come ha riconosciuto anche il presidente della Repubblica. Non a caso Giorgio Napolitano ha dichiarato «nell’avvicinarsi al 150° anniversario della nascita del nostro Stato nazionale, nessuna ombra pesi sull’Unità d’Italia che venga dai rapporti tra laici e cattolici, tra istituzioni dello Stato repubblicano e istituzioni della Chiesa cattolica, venendone piuttosto conforto e sostegno». Quanto al nostro presidente e al suo rapporto con Benedetto XVI, intensificatosi nel tempo fino a produrre un feeling speciale, è proprio l’«Osservatore Romano» a dedicargli un crescendo di attenzione senza sosta. Lo fa notare Carlo Cardia nel suo saggio confluito in questa raccolta, non senza spiegare il senso di una collaborazione crescente: nel segno del bene comune e della dignità di ogni persona umana. Uno spirito che, nello specchio dell’organo vaticano, soffia anche nella politica mediorientale. Vagliandone gli articoli sul tema, Silvio Ferrari e Paolo Zanini qui prendono atto che da una rivendicazione legittima ma esclusiva dei luoghi santi cristiani si progredisce verso la coscienza dei legami che uniscono questi luoghi a quelli dell’ebraismo e dell’islam, in una prospettiva che sostituisce il dialogo e l’incontro alla competizione e al conflitto. Ecco l’insegnamento del Concilio voluto da Giovanni XXIII. Ecco la Chiesa madre e maestra, esperta in umanità, come la presentò Paolo VI. Ecco, ancora, il senso di una testata che deve rendere presente nel mondo la Parola di Dio e l’insegnamento della Chiesa, servendo l’umanità tutta, desiderosa di trovare canali di speranza, per usare le parole di Giovanni Paolo II. Insomma, come scrive chiudendo il libro l’ambasciatore Sergio Romano, un giornale che non è proprio lo specchio del mondo «ma può essere (anche per un laico quando non vi trova precetti con cui gli è impossibile concordare) lo specchio del mondo in cui preferiremmo vivere».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: