giovedì 16 giugno 2016
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Un duro giudizio sulla serie tv Gomorra  è stato espresso ieri dall’“Osservatore romano” che parla di «violenza spesso insopportabile servita con realismo catturante». «Quello che colpisce – scrive il quotidiano della Santa Sede – è che nessuno dei protagonisti si senta pesce di un acquario putrido, che nessuno si ribelli all’incubo della guerra perpetua, che nemmeno uno di loro si dichiari esausto di affondare i piedi nel sangue, nel ghetto umido, assurdo e buio, con la puzza della morte addosso».

E a proposito del rapporto tra romanzo e fiction televisiva, il giornale del Vaticano annota: «Del testo di Saviano rimane l’attenzione ai meccanismi del sistema criminale camorra, l’armonia tra stile e contenuti, la relazione – anche se in percentuali diverse rispetto alla pagina scritta – tra romanzo e reportage». I quattro registi e gli sceneggiatori della seconda stagione, secondo l’“Osservatore romano” «sono stati abili a individuare la giusta distanza dalla carta: fotografano la pianura violentata mentre imboccano il solco, sempre più grande, delle serie sul potere».

Anche il numero di giugno-luglio della rivista dei gesuiti italiani Aggiornamenti sociali” entra nel merito della questione con un confronto critico su Gomorra tra Bibbia e fiction dove si afferma che «mentre la narrazione biblica conduce a una presa di coscienza, la serie televisiva gioca solo sul livello emotivo ed estetico e l’unico interlocutore è il criminale». Dopo avere rievocato i contenuti essenziali del racconto di “Sodoma e Gomorra” riportato nel Libro della Genesi, Giuseppe Trotta nel suo articolo sostiene che «la Bibbia spinge la rappresentazione del bene e del male al punto di eliminare le zone grigie perché appaiano solo il bianco e il nero».

Tuttavia, «alcune delle recenti fiction televisive e cinematografiche vanno ancora più in là: sono monocolore, compiono un processo al limite. I personaggi messi in scena, infatti, sono tutti malvagi e l’unica differenza è fra il più forte e il più debole. Ma tale operazione – si domanda Trotta – raggiunge l’obiettivo di suscitare indignazione e desiderio di legalità e giustizia?». Il punto discriminante, spiega l’autore (un biblista gesuita che ha vissuto anche a Scampia, nella periferia nord di Napoli), sta nella differenza fra il finale delle due narrazioni: «Nella Bibbia Dio distrugge il male irredimibile ma lascia in vita un piccolo resto per edificare un mondo nuovo; nelle sceneggiature più recenti, invece, non c’è limite alla malvagità, l’eroe è chi sopravvive affermandosi nella sua capacità di perpetuare i crimini e questo è funzionale alla prosecuzione della serie e di quel modo di rappresentare il mondo». 

La fiction, conclude Trotta, «si risolve nell’ipertrofia del livello estetico che fagocita quello etico: se l’episodio di Sodoma e Gomorra prospetta una forma sofisticata di giustizia che scaturisce dal dialogo fra Dio e l’uomo giusto, Abramo, la fiction contemporanea riduce la complessità del reale quando presenta la violenza come unica via di soluzione dei conflitti, resa accettabile agli occhi dello spettatore perché i malavitosi si uccidono fra loro. Così finisce per rafforzare l’idea che non ci sia niente da fare».

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