giovedì 28 marzo 2013
​«Il cambiamento che l’Eucarestia presuppone è quello del grano in pane, un fatto anzitutto naturale; invece mangiare è divenuto oggi attività artificiosa, più che una festa»
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Il pane, il vino, le mani dell’uomo. Sono le immagini che per Susanna Tamaro riassumono il mistero del Giovedì Santo. «È il giorno – afferma la scrittrice – in cui la materia si apre alla dimensione spirituale. Dell’una e dell’altra, oggi, abbiamo più bisogno che mai». Da qualche settimana in libreria con l’autobiografico Ogni angelo è tremendo (Bompiani), Susanna Tamaro ha un legame molto intenso con la vertiginosa concretezza dell’Eucarestia. «Da tempo abito a Orvieto – racconta –, la città che proprio quest’anno celebra il Giubileo eucaristico per il miracolo di Bolsena. Ma l’impressione più forte, per me, rimane quella della Prima Comunione. Ricordo bene come, tornando al mio posto dall’altare, avessi l’impressione di muovermi in uno spazio differente. La percezione della realtà era cambiata, il rapporto con il mondo materiale non era più lo stesso». Si potrebbe dire che erano le sensazioni di una bambina…«Preferisco pensare a un’intuizione molto precisa, un dono che sono riuscita ad apprezzare solo da adulta. Nel Giovedì Santo accade qualcosa di inaudito: l’uomo mangia Dio, se ne ciba, entra con Lui in un rapporto di intimità diretta, quasi scandalosa. La festa ha origine da qui, è la consegna di una grandezza che ancora non conosciamo e che richiede una vita intera per essere compresa. Il dramma è che, purtroppo, l’abitudine finisce per avere la meglio». A che cosa si riferisce? «Mi viene in mente il rito ortodosso al quale ho assistito durante un viaggio in Etiopia: c’erano migliaia di fedeli, ma non più di una ventina si sono accostati alla comunione. Gli altri non se ne sentivano degni. Ecco, fino a qualche generazione fa anche in Italia era molto diffusa la consapevolezza che nell’Eucarestia si manifestasse una presenza meravigliosa e terribile, alla quale non ci si può avvicinare in modo avventato. Tutto questo oggi rischia di andare perduto». Perché è venuto meno il senso dello straordinario? «A essersi affievolito, in effetti, è il senso dell’ordinario. Il legame con la materia, il rapporto con la manualità. La prima trasformazione che l’Eucarestia presuppone è quella del grano in pane e dell’uva in vino. Senza la coscienza di questo processo, non si può essere capaci di stupore di fronte alla potenza che si sprigiona il Giovedì Santo, inglobando e superando la dimensione materiale». Siamo distratti dalla virtualità? «Di sicuro abbiamo dimenticato che l’essere umano è felice quando vede realizzato il lavoro delle proprie mani. Per fare questo, occorre prendersi cura della materia e, insieme, rimanere umili al suo cospetto. Coltivare, come fa il contadino, sapendo che i frutti della terra restano comunque un dono per l’uomo, in quello stile di custodia al quale Papa Francesco ci sta richiamando con tanta passione. Sono elementi che faccio fatica a ritrovare nel mondo digitale, dove mi pare prevalga la dimensione del controllo e, quindi, del potere. Saper smanettare non ha nulla a che fare con la manualità autentica. Allo stesso modo l’Eucarestia, in quanto radicale esperienza di realismo, non ha nulla di virtuale. Nel suo richiamo al quotidiano, ci strappa all’illusione di irrealtà da cui il mondo contemporaneo è dominato». L’Eucarestia è anche festa, banchetto, condivisione.«Una cena, semplicemente. Un evento quotidiano, di nuovo, investito però da una luce divina. Si apre uno spiraglio dal quale è possibile contemplare l’eternità, sia pure per un solo istante. Ma bisogna che il banchetto resti tale e non diventi, a sua volta, occasione di consumismo. Confesso di guardare con estrema perplessità all’attuale processo di spettacolarizzazione del cibo. Il problema non è il divismo degli chef, non è la loro pretesa di rivestire il ruolo di guru e pensatori. Una volta di più, ci stiamo allontanando dalla realtà. Mangiare diventa un’attività artificiosa, priva di quel clima gioioso che dovrebbe contraddistinguere la festa». Insomma, che festa sia, ma con misura. «Al punto in cui siamo, mi pare che non ci siano alternative. Serve più rispetto verso la natura, più cautela nell’utilizzo delle risorse che restano a nostra disposizione. Dovessi riassumere in uno slogan, direi che "mangiare meno, mangiare tutti" è un obiettivo sensato. E possibile».
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