domenica 7 luglio 2019
Al Festival dei Due Mondi debutta la pièce teatrale che testimonia l’impegno del prete di Caltagirone, iI don che voleva «portare Dio nella politica». L’attore: le sue sono parole di grande attualità
Sebastiano Lo Monaco in "Appello ai liberi e forti" a Spoleto (Cristian Sordini)

Sebastiano Lo Monaco in "Appello ai liberi e forti" a Spoleto (Cristian Sordini)

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«La politica è un dovere morale, un atto d’amore. Io sono un prete e devo portare Dio nella politica». Questo prete ce lo ritroviamo davanti in carne e ossa, sincero, diretto, appassionato sino alla commozione nel ragionare sull’impegno dei cattolici per la difesa del bene comune. Il suo nome è don Luigi Sturzo e, mai come oggi, le sue parole risultano contemporanee e necessarie.

Ed è più che naturale che al termine della prima rappresentazione teatrale dell’Appello ai liberi e forti, a 100 anni dalla sua enunciazione, il pubblico del 62° Festival dei Due Mondi di Spoleto si alzi in piedi, direttore della manifestazione Giorgio Ferrara in testa, ad applaudire il protagonista, un magistrale e misurato Sebastiano Lo Monaco. Ma è anche una standing ovationa uno dei fondatori dell’Italia moderna, di cui si ha profonda nostalgia.

La sera del 18 gennaio 1919, dall’albergo Santa Chiara di Roma, veniva diffuso l’appello a tutti gli uomini liberi e forti, con annesso programma, in 12 punti, del partito Popolare Italiano. Nel-l’Italia e nell’Europa, ferite dalla Prima Guerra Mondiale, don Luigi Sturzo inaugurava l’esperienza di un partito nazionale, ma laico, con caratteri programmatici e riformatori.

La novità del monologo visto al Festival di Spoleto (che chiuderà il 14 agosto), sta nel mostrarci un don Sturzo più intimo e privato, più immediato anche nel linguaggio fruibile anche da un grande pubblico, con riflessioni personali e ricordi privati tratti dall’immensa mole dei suoi scritti. Il cuore dell’operazione batte a Caltagirone, cittadina natale di don Luigi Sturzo, che a metà giugno gli ha dedicato un convegno internazionale, presente il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia e presidente della Cei. In quell’occasione l’incontro fortunato di diversi soggetti che condividono lo stesso sentire ha prodotto lo spettacolo: l’attore siracusano Sebastiano Lo Monaco (chiamato allora per una lettura scenica dell’“Appello”) fondatore della compagnia Sicilia Teatro Castellinaria, il professor Francesco Failla, responsabile della biblioteca diocesana di Caltagirone e vicepresidente nazionale dei bibliotecari ecclesiastici, il magistrato Gaspare Sturzo, pronipote di don Luigi e presidente del Ciss, Centro Internazionale Studi Don Sturzo, nonché l’Istituto Luigi Sturzo.

Failla, che ha curato la riduzione dagli scritti originali per lo spettacolo, che vede la regia di Salvo Bitonti e le musiche originali di Dario Arcidiacono, si è focalizzato sulle carte dell’archivio della Biblioteca Diocesana di Caltagirone «per fare capire come questo sacerdote sia arrivato a elaborare la sua coscienza politica – ci spiega –. Scopriamo il suo rapporto con la famiglia e con la fede, ma anche la sua attitudine a migliorare la vita delle persone, attraverso il carteggio col fratello Mario (vescovo di Piazza Armerina e la sorella Emanuela, ma anche da alcune cartoline inedite provenienti dall’esilio, dalle poesie (che chiama «i miei giovanili reati»), dalle opere teatrali e musicali, ma anche dai documenti relativi alla sua prosindacatura. Ne esce uno di noi e non l’intellettuale che può intimorire per la quantità e la complessità dei suoi scritti».

In fondo è stato proprio lui a dire che i preti dovevano «uscire dalla sacrestia», dopo aver toccato mano, da giovane prete, la povertà per la prima volta durante la benedizione delle case nel Ghetto di Roma. Ed è da qui che prende l’avvio lo spettacolo complice la serena bellezza del Chiostro di San Nicolò sullo sfondo: sul palco sono disposti, per la prima volta, i veri mobili ed effetti personali che arredavano le due stanze presso il Convento delle Canossiane a Roma in cui don Sturzo visse dal 1946 alla morte nel 1959. Mobili semplicissimi che ci fanno toccare con mano l’uomo: al centro la macchina da scrivere Olivetti, su cui don Sturzo ha scritto le sue opere fondamentali, e poi la scrivania, l’attaccapanni, un ritratto eseguito in vita, la sua sedia e una poltrona rosa dove il sacerdote riposava e leggeva.

E, come rivela il professor Failla, il 26 novembre, data del suo compleanno, si farà un’altra rappresentazione di Appello ai liberi e forti a Caltagirone con i mobili e gli oggetti personali della sua casa natale e del suo ufficio in Comune. Ed è fra i preziosi “cimeli” del Servo di Dio, di cui è in corso la causa di beatificazione e canonizzazione, che si muove a suo agio nel clergymen Lo Monaco, attore robusto uso a ruoli pirandelliani e classici, che a Spoleto riesce a dare immediatezza e calore alle parole di Sturzo senza “imitare” fisicamente il religioso.

«Perché faccio politica? Perché attraverso di essa farò del bene agli altri», dice don Luigi da prosindaco di Caltagirone per 15 anni, elaborando il suo pensiero politico dando indicazioni valide a tutt’oggi, in parte tratte dal suo discorso del 24 dicembre 1905. Sino ad arrivare sul finale all’“Appello” che, con i suoi alti richiami morali e politici presenta una attualità stupefacente, rivendicando il primato dell’umanità e invitando i cattolici a prendere parte alla politica non in modo clericale ma «con il Vangelo nascosto nel petto».

Ogni parola riguardante la giustizia sociale, l’onestà in politica, il malaffare, le buone pratiche, arrivano dritte senza retorica e quando don Sturzo sbotta «il dilettantismo e il superficialismo ci ammazzano», gli spettatori annuiscono con la testa. «Le sue parole sembrano scritte adesso – ci spiega l’attore –. Quando pronuncio le parole di Sturzo, sento che parlano di me, di come mi sento. La mia fede è antica, ma a questo punto della vita, dopo tanti ruoli di eroi, mi domando: ma come cristiano cosa ho fatto? Io oggi voglio parlare di questo. La svolta per me è arrivata dall’incontro con Piero Grasso. Da quando ho messo in scena il suo Per non morire di mafia sento che il teatro deve essere altro».

«Lo stesso don Sturzo pensava al teatro come un mezzo per trasmettere la cultura del bene comune a gente che non sapeva né leggere né scrivere, basti pensare alla sua pièce del 1901 La mafia», aggiunge Gaspare Sturzo, che ha fortemente voluto Appello ai liberi e forti per inserirlo nel progetto “Contro le Male Bestie”, promosso dall’Istituto Luigi Sturzo e il Ciss, destinato promuovere la cultura della legalità attraverso cinema, teatro e letteratura presso gli studenti delle superiori. «La passione per il bene comune illuminata dalla fede cristiana il coraggio di assumere su di sé battaglie scomode – continua Gaspare Sturzo –. Ecco, dobbiamo passare ai giovani la lezione morale di Sturzo, perché, come diceva lui, le male Bestie divorano la libertà dei cittadini».

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