giovedì 17 marzo 2011
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I Mille di Garibaldi sarebbero salpati dì lì a poco, l’unità del Paese era solo nell’aria, ma i bambini avevano già il sussidiario, che per parecchi anni li avrebbe accompagnati tra i banchi di scuola e un eroe piccolo piccolo, una figura in cui specchiarsi, che agli adulti parve perfetta per istruire e addomesticare ai valori correnti le giovani generazioni: Giannetto. È vero che a scuola ci andavano in pochi e pochi erano quelli che sapevano leggere, che la lingua nazionale era pressoché sconosciuta e i dialetti l’unica lingua parlata, ma la preoccupazione di omogeneizzare l’opinione pubblica a partire dai più piccoli era già forte. Il Giannetto di Luigi Alessandro Parravicini aveva vinto nel 1836 un concorso della Società Fiorentina per le scuole di mutuo insegnamento (un premio di ben mille lire!) come «il più bel libro di lettura a uso de’ fanciulli e del popolo». Il bando richiedeva un volume in cui «i giovinetti fossero iniziati a tutti quei doveri che l’uomo dabbene deve poi adempiere nel progresso della vita». E questo difatti era: un’opera enciclopedica e nozionistica, insegnava il corpo umano, scienze e geografia, formava l’uomo e il cittadino, presentando tutto quello che un bambino doveva sapere per stare al mondo, diluito in brevi racconti. L’intento educativo e paternalistico era scoperto: grazie ai sani principi morali con cui era cresciuto, Giannetto si costruiva una carriera folgorante e una vita da signore, diventando persino un benefattore. Giannetto, che avrebbe avuto una sessantina di edizioni prima di essere dimenticato, surclassato dai molto più frizzanti Giannettini e Giannini futuri, è anche il punto di partenza dell’excursus lungo 150 anni offerto dalla mostra I libri per ragazzi che hanno fatto l’Italia, che sarà presentata alla Fiera del libro di Bologna che apre il 28 marzo. «Un percorso a tappe storico-emotive che – spiega Nicola Galli Laforest, dell’Associazione Hamelin di Bologna, responsabile del progetto – intende ricordare i grandi della letteratura italiana per l’infanzia, che maggiormente hanno contribuito a formare lo spirito italiano, dai primi anni dell’Unità fino a oggi e al tempo stesso leggere la letteratura per ragazzi come riflesso della società italiana».Centoquattordici opere che chiamano a raccolta Pinocchio e Marcovaldo, Gian Burrasca e Pecos Bill, Tiramolla, Tex e Chiodino, Bonaventura, Corto Maltese e tanti altri. Fratelli di quel bacchettone esemplare di Giannetto, capostipite di una stagione promettente di protagonisti, che di lì a poco si sarebbe aperta con la nascita del sistema scolastico nazionale, l’alfabetizzazione, la creazione di un pubblico di lettori e l’irrompere dei ragazzini letterari veri. Come lo fu in parte Giannettino, che Collodi creò nel 1876, anche lui protagonista di una serie di libri didattici, antesignano di una storia che ha iniziato a coinvolgere anche l’infanzia in una sorta di anticamera del diritto di cittadinanza. Ma nulla a che vedere con l’irreprensibile Giannetto. «Fatta l’Italia tocca anche a Giannettino fare gli italiani, spiega Nicola Galli Laforest, il ragazzo finalmente vivo e divertente, troppo divertente – al punto da inficiare l’insegnamento, secondo la commissione ministeriale per i libri di testo che nel 1883 l’aveva bocciato – le cui avventure regalano ai ragazzi italiani la prima apertura verso il piacere della lettura, lo scardinamento delle rigide regole formali, un’idea nuova di scuola e d’Italia». Sottraendosi all’abbraccio della retorica, dell’ufficialità e del paternalismo patriottico, Giannettino capriccioso, bugiardo ma sveglio e desideroso di imparare senza annoiarsi, è una novità nel sistema della pedagogia borghese. Pinocchio stava per venire al mondo (1881) come uno straordinario incontro tra il meraviglioso fiabesco e il realismo quotidiano. «Un successo mondiale riconducibile al valore universale assunto dalla storia: il burattino legnoso, sottratto alla sua umanità poteva diventare, come spiega Laforest, «la rappresentazione della violenza insita in ciascuna educazione, che impone la rinuncia al desiderio originario di libertà». Un capovolgimento ironico e dissacrante della retorica educativa comunque ancora viva tra i collaboratori de Il Giornale per i bambini sulle cui pagine La storia di un burattino veniva pubblicata a puntate. La pedanteria del conformismo trionfava invece in Cuore. «Ah, la vedranno i fabbricanti dei libri come si parla ai ragazzi poveri e come si spreme il pianto dai cuori di dieci anni» scriveva il 16 febbraio 1886 De Amicis all’amico editore Treves, che gli aveva commissionato il libro. Senza immaginare, forse, che le lacrime spremute e versate fino allo stremo sarebbero state quelle di molte generazioni, ammutolite dallo scorrere di sangue romagnolo, attonite dal sacrificio del piccolo scrivano fiorentino e dell’eroica vedetta lombarda, disperate dalle tribolazioni del piccolo emigrante genovese. Il diario del buon Enrico, lentamente ma inesorabilmente ammaestrato alla scuola dei sentimenti gentili piccolo borghesi è – come sottolinea Laforest – «un viaggio attorno alle virtù civili da proporre ai nuovi italiani». Nel giro di un anno l’alunno racconta il mondo che lo circonda, che lui osserva e cerca di capire non senza patimenti, strada obbligata per diventare grandi. Sono lontani mille miglia il burattino bugiardo, il Paese dei balocchi e l’allegria di marinare la scuola. La classe di Enrico è un mondo tanto più triste perché immutabile: i signorini, primi della classe, non si confondono con i poveretti, figli di carrettieri, muratori e carbonai, senza possibilità di riscatto e anche per questo piccoli eroi degni di un orgoglio che sconfina spesso nella compassione. Roba da maschietti comunque, perché mentre la letteratura straniera produceva bambine ribelli e intraprendenti da Alice a Jo delle Piccole donne, per le giovinette italiane c’è un foglio, Cordelia, che dal 1881 mira all’educazione delle ottime spose e madri di famiglia. Integrate e sottomesse. Scatta il secolo nuovo e ancora dalla stampa rivolta ai bambini, Il Giornalino della Domenica, arriva tra il 1906 e il 1907 Il Giornalino di Gian Burrasca, le avventure di un ragazzaccio combinaguai dal cui diario ci sarà poco da imparare, per il piccolo borghese che avrebbe dovuto crescere ben educato e operoso. Con la forza dell’umorismo e attraverso gli scherzi dell’adorabile Giannino, Luigi Bertelli, in arte Vamba, mette in scena l’universo familiare e sociale pieno di stereotipi del primo Novecento, la crudeltà e l’ipocrisia degli adulti, le ragioni dell’infanzia e il suo coraggio nell’opporsi ai soprusi di chi vuole insegnare a vivere. Un filone che nel corso degli anni avrà altri beniamini e altri autori, da Rodari a don Milani, ma questa è un’altra storia.
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