venerdì 5 dicembre 2014
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La politica, per una volta, viene messa da parte. Per lasciare spazio all’amore. Perché troppo spesso il Fidelio di Ludwig van Beethoven è stato letto solo come un’opera di denuncia. Denuncia di soprusi, della tirannia, della privazione della libertà. Aspetto che, intendiamoci, c’è nell’unico melodramma (che poi è un singspiel, una commedia in musica, dove si alternano dialoghi parlati e numeri musicali) scritto dal compositore tedesco. Perché, nel tempo, qualche regista ha vestito i soldati della prigione con divise naziste o i prigionieri con le tute arancioni di Guantanamo.Niente di tutto questo nell’allestimento della regista Deborah Warner che domenica inaugura la nuova stagione del Teatro alla Scala. Ultimo 7 dicembre per Daniel Barenboim nelle vesti di direttore musicale: il musicista argentino il 1° gennaio passerà il testimone a Riccardo Chailly (per due anni direttore principale, poi, dal 1 gennaio 2017, direttore musicale), ma prima chiuderà i sui nove anni milanesi così come li aveva aperti, nel segno di Beethoven. Era il 23 dicembre 2005 e Barenboim arrivava a Milano per il Concerto di Natale: la Nona sinfonia di Beethoven risuonava tra le macerie della Scala, non le macerie del Dopoguerra di Arturo Toscanini, ma quelle morali lasciate dall’addio burrascoso di Riccardo Muti. Macerie sulle quali l’allora sovrintendente Sthéphane Lissner cercava di ricostruire il teatro chiamando in aiuto l’amico Barenboim.Domenica si chiude un ciclo. E alcune macerie ci saranno ancora. In scena. Perché la Warner ambienta l’opera in una fabbrica dismessa, trasformata da un regime ormai allo sbando in una prigione. Alti muri di cemento armato che si sgretolano. Personaggi in tuta e anfibi. Ambientazione contemporanea per una vicenda che la regista britannica, a lungo attiva nella Royal Shakespeare company, rilegge fuori dal tempo e con la lente di ingrandimento dell’amore. Glielo ha suggerito lo stesso titolo dell’opera: Fidelio o dell’amore coniugale. Per la Warner, infatti, la storia di Leonore, che vestendo i panni maschili di Fidelio riesce a introdursi come manovale nella prigione dove il tiranno don Pizarro tiene ingiustamente segregato il marito Florestan, è la versione al femminile del mito di Orfeo. Se nella vicenda mitologica Orfeo scende agli inferi per riportare in vita Euridice, qui è Leonora che fa un viaggio nel sottosuolo: il carceriere Rocco la porta nei sotterranei per scavare la fossa di questo prigioniero di cui nessuno deve sapere, ma lei, con la sua forza e la sua fede riesce a salvarlo, riportando il marito Florestan alla luce e gioendo per la libertà che l’arrivo del governatore don Fernando offre ai prigionieri.«Un’opera universale capace di parlare a tutti del problema dell’amore e della giustizia, in un momento come quello che stiamo vivendo, in cui la cronaca quotidiana ci parla dei fatti dell’Ucraina e delle decapitazioni dell’Isis», dice la regista che ha in parte riscritto i dialoghi originali (tutta l’opera è in tedesco) usando un linguaggio più moderno. Una storia senza tempo anche per Barenboim: «La musica parla a tutti quando chi ascolta apre il proprio pensiero e il proprio cuore. Ma Beethoven ha una marcia in più perché è sintetico, conciso, non ha una nota che sia solo ornamentale. E penso che tutto venga dal fatto che il compositore fosse profondamente etico, avendo un rispetto per la moralità come nessun altro». Un risultato costato, però, fatica. Perché Beethoven scrisse e riscrisse l’opera inizialmente intitolata Leonore. La prima nel 1805 fu un insuccesso tanto che il musicista la ritirò dalle scene per ripresentarla l’anno successivo con un libretto più snello. Ma qualcosa non lo convinceva ancora. Ci lavorò sino alla versione definitiva andata in scena nel 1814 a Vienna con il titolo di Fidelio. Dentro c’è la lezione di Mozart. Ci sono echi della Nona, ma anche delle Sonate per pianoforte dello stesso Beethoven. E c’è tutto il genio di un autore che ha cambiato la storia della musica. «La grande difficoltà musicale di Fidelio è quella di avere stili diversi nella stessa opera. Ci sono momenti di una grandezza assoluta degni dell’Eroica o della Nona, ma ci sono anche aspetti leggeri tipici del primo periodo di Beethoven», racconta ancora Barenboim che sul leggio ha messo la versione del 1814, ma ha scelto di eseguire come ouverture la cosiddetta Leonore n.2, pensata per la versione del 1806. In scena a vestire i panni di Leonore il soprano Anja Kampe. Florestan è Klaus Florian Vogt, Don Pizarro Falk Struckmann, Don Fernando Peter Mattei, Marzelline Mojca Erdmann, Jaquino Florian Hofmann e Rocco Kwangchul Youn.Alla Scala ci dovrebbe essere il premier Renzi, ma non il Capo dello Stato, Napolitano. Fuori le proteste legate agli sgomberi delle case occupate abusivamente di centri sociali e gruppi antagonisti. Fidelio andrà in diretta domenica alle 18 su Radio Tre e su Rai 5. Ma anche su 14 maxischermi allestiti a Milano, dall’Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele sino al carcere di San Vittore. E grazie al circuito Microcinema sarà proiettato in digitale in centinaia di sale in tuto il mondo.
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