sabato 9 agosto 2014
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Chi conosce il Meeting di Rimini non si sarà fatto troppe domande in merito. Sa che da sempre è una manifestazione 'trasversale', capace di ospitare personaggi inusuali. Ma i tanti ascoltatori di Radio Deejay e i tantissimi che conoscono Linus – uno dei deejay più famosi di Italia, conduttore televisivo, autore di libri e maratoneta incallito – se lo sarà sicuramente chiesto: cosa ci fa in mezzo ai 'ciellini'? Per essere precisi: cosa ci farà, visto che la sua presenza è in programma al Meeting per la sera del 27 agosto (Sala Neri alle ore 21.45). «Prima di tutto ci vado per curiosità. Io sono sempre stato un cane sciolto. Nella mia vita, però, ho sempre cercato il confronto e mi diverte l’idea di mettermi in gioco davanti a una platea così lontana da me. Quei ragazzi infatti assomigliano poco a quelli che frequento io». Cosa vorrebbe portare a casa da questo incontro? «La stessa cosa che spero di dare: più fiducia nel valore della curiosità. È un elemento che mi sembra manchi sempre di più nella nostra società e nei rapporti umani. Io sono sempre stato molto curioso. Per me la curiosità è la base di ogni conoscenza e di qualunque cammino. In giro, invece, vedo troppi che si accontentano del poco che conoscono». Che effetto le farebbe se uno di quei ragazzi del Meeting, che lei vede lontani, fosse suo figlio? Un ragazzo, cioè, che passerà una parte delle sue vacanze a lavorare, pregare e confrontarsi. «Mi piacerebbe che i miei figli assomigliassero a quei ragazzi e nel mio piccolo mi sforzo un po’ per fare che questo accada. Mi consola molto, infatti, vedere dei ragazzi che dedicano del tempo a qualcosa di concreto». Al Meeting terrà un incontro dal tema «Cosa rimane quando finisce una canzone». È così vasto che potrà parlare dell’immortalità dell’anima come di aneddoti personali. Che strada sceglierà? «Userò la musica per dimostrare che ogni cosa che facciamo ci lascia un segno addosso. Anche le azioni apparentemente insignificanti. Le faccio un esempio: quando siamo al mare sul bagnasciuga, ogni onda sembra simile alla precedente; ogni carezza dell’acqua che riceviamo sembra non cambi nulla, ma di fatto crea in noi una piccola modifica. Basta sapere ascoltare». È inevitabile chiederglielo: cosa rimane a casa di Linus quando finisce una canzone, la musica si spegne e lei torna nella normalità? «Per assurdo, nonostante quello che le ho detto, non sono uno che fa molta scorta delle esperienze. Tendo a vivere il presente. Non mi guardo molto indietro e non guardo molto al futuro. Tutto però mi rimane sotto traccia». Neanche da padre le capita di pensare al futuro? «Sono un po’ terrorizzato dal futuro dei miei figli, Filippo e Michele (17 e 10 anni - ndr). Mi spaventa l’imprevedibilità della vita. La casualità della vita. Mi spaventano le tante tentazioni. Ma la cosa che mi preoccupa di più è avergli dato troppo. Può sembrare un vantaggio ma temo che sia un handicap. La mia famiglia era molto umile. Quello che ho fatto e quello che sono diventato l’ho conquistato perché  ero motivato a farlo». Qual era da ragazzo il suo rapporto con la fede? «Da ragazzino ho frequentato l’oratorio, fatto la comunione e la cresima. Poi mi sono allontanato, come tanti. Oggi credo in qualcosa. E penso che la fede sia ciò che ci differenzia dagli animali e che dà un senso al nostro cammino. Se volessi fare una bella figura, a questo punto le direi che, come recita uno degli slogan del Meeting di quest’anno, “il destino non ha lasciato solo l’uomo”». L’altra frase slogan del Meeting è «verso le periferie del mondo e dell’esistenza». «È un concetto forte, bello e democratico. Anche quando viviamo o “siamo” in un luogo o in una posizione importante siamo sempre periferia di qualcun altro. Serve più consapevolezza. Dobbiamo preoccuparci di più. Di noi e degli altri». Se fosse in platea al Meeting, quale tema vorrebbe fosse affrontato? «Come si esce dalla mancanza di identità sociale. Il modo in cui viviamo noi italiani è imbarazzante. Abbiamo una forza e potenzialità incredibili ma poi ci perdiamo in liti di bassissimo livello. Non sappiamo più cosa significhi il concetto di bene comune, anche e soprattutto in politica». Lei non è famoso solo come deejay e personaggio tv ma anche per la sua passione per la maratona. Che significa fatica, percorso e meta. Se a questi tre elementi aggiunge la parola preghiera, il «suo cammino » si avvicina molto a certi pellegrinaggi. Ci ha mai pensato? «No. È vero però che ci sono molti punti in comune. A partire dal fatto che la fatica è condivisione. E che il “segreto” sta nel percorso e nel piacere che si prova nel costruire qualcosa passo dopo passo. Nel collegare ogni sforzo a quello precedente. Il piacere di fare fatica è una delle tante cose che ci stiamo dimenticando». È vero che da ragazzo le piaceva san Francesco? «La mia famiglia è di origini pugliesi ma io sono nato a Foligno. Per vicinanza geografica e perché lo vedevo giovane, quindi più vicino a me, ho sempre avuto da ragazzo una forte simpatia per san Francesco. Ora, come tanti, sono conquistato da papa Francesco. Quando era arcivescovo di Milano, mi affascinava molto il cardinale Martini». La sua famiglia era di origini molto umili. Oggi lei è una persona di successo e ricca. Come vive, in tempi di crisi, la sua condizione  privilegiata? «Non ho sensi di colpa perché tutto quello che ho l’ho guadagnato in anni di lavoro. A differenza di molti personaggi famosi non nascondo la mia condizione. Non me ne vergogno, ma al tempo stesso non dimentico mai da dove arrivo. Come direttore di radio DeeJay ho sotto di me 200 persone. Tutte le volte che posso, pur amministrando soldi non miei, cerco di venire incontro alle loro esigenze. Nel mio privato ci sono persone che aiuto e associazioni per le quali mi spendo e spendo. Il comandamento della mia vita è: non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te stesso».
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