mercoledì 25 agosto 2010

La nuova amicizia con Tripoli renderà possibile rivisitare insieme gli anni del colonialismo? Una riflessione verso il convegno di Roma

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Una ricorrenza che forse nessuno vorrà nemmeno ricordare, considerato che il nostro passato coloniale è controverso e non privo di pagine sanguinose. La retorica degli opposti "patriottismi", tra italiani e libici, rischia infatti di veder naufragare ogni serio approccio di rielaborazione storica competente e obiettiva del trentennale dominio tricolore sulla "quarta sponda" africana. In questo senso il convegno che si terrà la settimana prossima a Roma, in occasione della nuova visita in Italia del colonnello Muammar Gheddafi, rappresenterà forse un tentativo di "sminare il terreno" in vista di una riflessione più pacata e di più lungo respiro. Tra gli invitati a intervenire ci sarà anche Angelo Del Boca, uno dei massimi storici del colonialismo italiano.L’arrivo del leader della Jamahiriya, la repubblica popolare socialista araba, coincide con il secondo anniversario del Trattato di amicizia e cooperazione italo-libico firmato da Berlusconi a Bengasi. Un accordo storico che, lungi dall’aver messo una pietra sul passato, sembra aver dato inizio a un percorso di scavo e di approfondimento.Le violenze e le repressioni compiute dagli italiani in Libia costituiscono un punto di continuità tra la fase prefascista della colonizzazione e quella dell’epoca mussoliniana. Per i libici, la memoria della lotta contro gli occupanti rifulge nella celebrazione del ricordo del capo della resistenza armata, Omar al-Mukhtar. La figura del leader della rivolta non è molto conosciuta nel nostro Paese. Nato nel 1861, a poco più di sessant’anni Mukhtar venne investito della responsabilità di organizzare la guerriglia anti-italiana. Leader dei senussi, la fratellanza musulmana nazionalista, Omar diede parecchio filo da torcere alle forze militari dell’occupante. Forte di una struttura di 1.500 miliziani combattenti, Mukhtar adottò una tattica di logoramento che consisteva in attacchi fulminei che frustravano ogni possibilità di tempestiva reazione. Per avere la meglio sul capopopolo, gli italiani, dopo aver riconquistato la gran parte dei vastissimi territori dell’entroterra – le regioni della Tripolitania e di Fezzan, oltre al deserto della Cirenaica –, nel 1930 concentrarono gli attacchi in direzione dell’altopiano. Obiettivo fondamentale era quello di espugnare la roccaforte di Omar al-Mukhtar, asserragliato attorno all’Oasi di Cufra, nell’area sudorientale della colonia, verso il confine con Egitto e Sudan.    Il condottiero libico fu catturato, sottoposto a veloce processo, nel Palazzo Littorio di Bengasi e impiccato davanti a una folla di ventimila connazionali, la mattina del 16 settembre 1931. Era l’ora della capitolazione, ma non della vergogna, per i resistenti arabi, che da allora coltivarono il proposito del riscatto.  Centomila libici furono deportati in campi di concentramento allestiti dal governo fascista: quarantamila di loro morirono in prigionia.Nella seconda metà degli anni Trenta, sotto il governatorato del maresciallo dell’Aria Italo Balbo, Mussolini tentò di inaugurare una fase nuova del colonialismo, avviando un processo di pacificazione che culminò nella realizzazione della strada litoranea di collegamento che correva per 1.882 chilometri tra il confine egiziano e quello tunisino. La pax politico-religiosa con gli arabi musulmani fu consacrata, nel 1937, con il famoso gesto del Duce di innalzare la spada dell’Islam.  La pagina della colonizzazione italiana della Libia (ma anche degli altri territori africani) non è complessivamente più nera di quelle scritte altrove con il sangue da inglesi, francesi e belgi. Il territorio libico, perso da Mussolini nel 1943, fu suddiviso in due zone di occupazione, quella inglese e quella francese. Nel 1951, la Libia divenne unita e indipendente, sotto il regno di Idris, leader dei senussiti.Il monarca fu spodestato, all’inizio di settembre del 1969, dalla rivolta militare guidata dal giovane colonnello nasseriano Muammar Gheddafi.  Seguì, nel luglio del 1970, la cacciata di ventimila italiani – in larga parte coloni agricoli – dal territorio della repubblica nazionalista araba. Un episodio che resta ancora oggi inaccettabile (anche per la brutale confisca dei beni dei nostri connazionali, valutabili in 3 miliardi di euro del 2006), ma che valse forse a evitare una carneficina.Il processo di distensione italo-libico, tra alti e bassi, è proseguito per un quarantennio, fino a sfociare nel Trattato del 2008, che ha segnato un punto di svolta nelle relazioni tra i due Stati. L’Italia ha definitivamente riconosciuto il diritto della Jamahiriya a ricevere l’agognato risarcimento dei danni coloniali, attraverso accordi di cooperazione e sostegni finanziari per 5 miliardi dollari in vent’anni. La Libia, in tal modo, è divenuta partner economico ancora più stretto del nostro Paese. L’impegno dell’Italia nel campo delle infrastrutture si concretizzerà con la realizzazione di un tracciato autostradale di duemila chilometri, lungo la costa libica, che collegherà il confine egiziano con quello tunisino.
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