venerdì 3 marzo 2017
La grande classica è tornata a Beirut dopo la guerra civile grazie all’Al Bustan Festival. Ricostruiti poi l’Orchestra Nazionale e il Conservatorio con 5000 allievi.
Il festival di Baalbek, sito archeologico nel nord del Libano.

Il festival di Baalbek, sito archeologico nel nord del Libano.

COMMENTA E CONDIVIDI

Il lamento di Maria, “mater dolorosa”, si innalza fra le candide volte neoromaniche, una eco di memorie recenti e ferite ancora aperte che bruciano nell’animo dell’uditorio, attento e commosso, che affolla la chiesa di San Giuseppe dei padri gesuiti di Beirut. In Libano anche un’opera celeberrima come lo Stabat Mater di Rossini, è una rarità, come quella andata in scena pochi giorni fa con il Coro del Teatro Nazionale Serbo e l’Al Bustan Festival Orchestra diretta dal maestro italiano Gianluca Marcianò. Ed è proprio Maria, “regina delle regine” la vetta del programma dell’Al Bustan Festival di Beirut, dedicato quest’anno al tema Regine e imperatrici d’Oriente, supportato anche dall’Ambasciata italiana in Libano e dall’Istituto Italiano di Cultura. «Maria è molto importante per me come per tutti i libanesi, sia cristiani sia musulmani che la venerano» spiega ad Avvenire Myrna Bustani, elegantissima signora di 79 anni, la donna che ha riportato la musica classica in Libano dopo la guerra civile che fra il 1975 e il 1990 aveva distrutto anche la vita culturale del Paese. Lei, figlia di uno dei protagonisti del Libano moderno, Emile Bustani, prima donna ad essere eletta nel parlamento libanese nel 1960 a soli 24 anni, ha scelto questo tema anche per sottolineare come la donna in passato abbia avuto un ruolo politico importante nell’Oriente, governando regni e imperi.


Mentre oggi, in un Paese come il Libano, il tasso di partecipazione femminile alla vita parlamentare è solo del 3,1%, uno dei più bassi del mondo. Come aggiunge il professor Alexandre Najjar, membro del comitato scientifico del Festival, «la donna in Oriente fa ancora fatica a ottenere i suoi diritti, malgrado i progressi registrati a livello dell’educazione delle ragazze e delle riforme minime riguardo al suo status. Perché questa regressione rispetto all’antichità?».


Ed ecco quindi sfilare per un mese, dal 15 febbraio al 19 marzo, nell’auditorium da 450 posti dell’elegante Al Bustan Hotel, costruito da Emile sulle verdi alture di Beirut nel tranquillo quartiere cristiano di Beit Meri, leggendarie figure matriarcali, come Cleopatra in versione Berlioz e Massenet, la Regina di Saba secondo Goldmark e Gounod, Dalila, Aida, la Medea di Cherubini, Zenobia, la Sherazade di Rimsky Korsakov e Semiramide, regina di Babilonia, che il mezzosoprano Anna Bonitatibus ha fatto viaggiare trionfalmete da Haendel a Jommelli, Gluck, Paisiello, Rossini e Garcia. Sino, appunto, a Maria, alla cui materna protezione il Libano è affidato.


Il tutto, attraverso un festival di musica “occidentale” che da queste parti non è una cosa scontata. E se nella scintillante Svizzera d’Oriente degli anni 50 e 60 era usuale ascoltare maestri come Karajan e i Berliner Ensemble in festival estivi importanti come quelli di Byblos, Beiteddine o Baalbek (che ha festeggiato non senza difficoltà i 60 anni fra continui rischi chiusura causa prossimità con la Siria), 17 anni di devastante guerra civile hanno azzerato tutto. «Dopo la guerra a nessuno importava di recuperare la musica classica, sembrava una cosa superficiale – racconta la signora Bustani abituata sin da piccola a frequentare opere e concerti classici –. I libanesi amano moltissimo la musica, soprattutto quella tradizionale e oggi quella pop e dance che sono rifiorite. Ma per la classica è stata dura. Non c’era un’orchestra nazionale, il conservatorio era stato distrutto. Eppure è solo attraverso la cultura e il dialogo costante anche con l’Occidente che un paese multiculturale e tollerante come il Libano può continuare ad essere di esempio per il mondo».


Il Libano di oggi, a dispetto dei conflitti che lo circondano e di alcuni focolai interni pronti ad esplodere specie ai confini con la Siria, dove si trovano un milione e mezzo di rifugiati, ancora un Paese di civile convivenza, oltreché di incredibile bellezza e in piena ricostruzione, lo è, con una popolazione di quattro milioni e mezzo di abitanti di cui circa un milione e mezzo cristiani. Lo dimostra anche l’incontro interreligioso di un mese fa sul tema Il Libano ci unisce voluto a Beirut dall’amba- sciata saudita con la presenza di rappresentati della comunità islamica, drusa, del patriarcato maronita, della Commissione nazionale per il dialogo islamo-cristiano, dell’arcivescovo di Beirut monsignor Boulos Matar e del nunzio apostolico monsignor Gabriele Caccia. Ma occorre non abbassare la guardia. Madame Bustani ha passato i momenti della guerra fra Beirut e Londra e, dopo avere restaurato l’hotel danneggiato dalle bombe, ha caparbiamente voluto farne sede dell’Al Bustan Festival, anche per la mancanza allora di altre sedi adeguate. In scena ininterrottamente dal 1994, il festival non è stato fermato neanche da un evento traumatico come l’assassinio nel 2005 del primo ministro Rafik Hariri, ucciso da una bomba sul lungomare di Beirut insieme a 21 persone. La serata di apertura fu cancellata, i musicisti parteciparono alla pacifica dimostrazione della “rivoluzione dei cedri” e la sera successiva un coro estone si esibì secondo i piani in una chiesa, momento che divenne una commemorazione funebre e un sfida culturale al tempo stesso. «Noi pensiamo che la musica classica non debba essere per una élite, ma per tutti – aggiunge la signora Bustani –. Per questo abbiamo anche programmi di musica per le famiglie. I bambini sono il nostro futuro».

Un festival, totalmente finanziato dagli sponsor, che lotta con la paura degli artisti. Lo sa bene il maestro Marcianò, entusiasta quarantenne originario di Lerici, a capo della Orchestra Sinfonica Armena, abituato a operare in zone ferite dai conflitti: ha lavorato a Sarajevo, ha ricostruito l’orchestra di Banja Luka e prossimamente sarà a capo della nuova Filarmonica di Novi Sad in Serbia. «Vedo la musica come una forza unificatrice anche in Libano, dove ci sono relazioni difficili coi paesi vicini, ma in cui tante religioni convivono pacificamente insieme. La gente normale vuole la pace, il problema è solo la politica». Per lui non è stato facile far superare i pregiudizi, ma alla fine negli anni è riuscito a portare nomi come Salvatore Accardo e i Solisti italiani. E a formare fortunosamente una nuova orchestra.

«Due anni fa a due settimane dall’inizio del festival, l’orchestra che avevo chiamato ha dato forfait per ragioni di sicurezza. Come non far saltare il festival? Ho creato un gruppo Facebook coinvolgendo tutti i musicisti amici. Nel giro di una serata avevo già registrato 70 adesioni». Oggi la Al Bustan Orchestra conta 65 elementi, molti giovanissimi, provenienti da tutto il mondo. «E l’anno prossimo la sfida sarà portare a Beirut tutto Bach» aggiunge Marcianò. Hanno confermato l’Accademia Bizantina di Ottavio Dantone con Andreas Scholl. Un seme, che negli anni ha dato i suoi frutti. Myrna Bustani è riuscita a guidare una cordata di imprenditori e politici che hanno portato nel 2000 alla nascita dell’Orchestra Nazionale Sinfonica Libanese, che ogni venerdì si esibisce in concerti gratuiti di musica classica presso la chiesa di san Giuseppe dei padri gesuiti di Beirut, che è diventata “la Scala” libanese. Nell’attesa che si realizzi un altro sogno cui sta lavorando Myrna: la costruzione del primo teatro d’opera del Libano. Nel 1995 è nato anche il Lebanon Higher Conservatory, sulle ceneri del Lebanon National Conservatory creato nel 1920 su spinta di Wadih Sabra (il compositore dell’inno nazionale libanese): durante la guerra civile l’edificio venne danneggiato, tutti gli strumenti e la biblioteca bruciati. Oggi il Conservatorio vanta 14 sedi in tutto il Paese, più una nella prigione di Roumieh. Ben 5000 sono gli studenti, dagli 8 anni in su, suddivisi in due specializzazioni, musica occidentale e musica orientale. Sempre il Conservatorio ha creato un ensemble musicale di studenti, un ensemble di musica occidentale, uno di musica orientale e una jazz band che propongono oltre 70 concerti l’anno.

«C’è un boom della musica in Libano, 5 anni fa il Ministero dell’Educazione ha inserito un’ora la settimana di educazione musicale in tutte le scuole» spiega Rita Eid, docente di teoria e composizione al Conservatorio Nazionale e direttrice della Mozart Chahine School of Music, la principale scuola di musica privata del Medio Oriente che con i suoi 1000 allievi, a partire dai 7 mesi di età, guida la galassia delle tante scuole private musicali che stanno nascendo in Libano. «Ogni famiglia desidera mandare i suoi figli a imparare la musica, non solo perché diventino professionisti. Tutti vogliono fare musica, è il nostro modo di resistere a quello che c’è intorno e di fare capire che siamo vivi – aggiunge – . Noi insegniamo un particolare metodo che mescola la musica orientale e quella occidentale. La musica, toccando le corde più intime del nostro animo, è la via più efficace per il dialogo».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: