sabato 12 novembre 2016
«You want it darker», il 14° e ultimo album del cantautore canadese rappresenta il suo lascito, che va oltre le note
Musica dell'anima. Il testamento spirituale
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Ci sono artisti che già in vita sono monumenti tali da sembrare immortali. Ma di non esserlo lo sapeva benissimo Leonard Cohen che, pochi giorni prima di scomparire ieri all’età di 82 anni, ci ha lasciato una perla nera rilucente di saggezza e struggente bellezza, You want it darker il suo 14° album.

Una sorta di testamento spirituale, prodotto dal figlio Adam, che apre un ulteriore spiraglio sulla sua anima, quella sì immortale come la sua musica. Un omaggio verrà organizzato nella sua Los Angeles.

L’artista canadese, poeta, scrittore e musicista, pietra miliare della canzone d’autore, ha fatto della ricerca spirituale il leitmotiv di brani in cui confluiscono la radice ebraica («Non sto cercando una nuova religione, sono molto felice con la vecchia, l’ebraismo» diceva lui, nipote di un rabbino), l’amore per la meditazione orientale (si era ritirato in un monastero buddista in California negli anni Novanta) e il fascino per la figura di Cristo. Canzoni che uniscono l’amore, la passione, le riflessioni sul destino, affondando nell’anima con versi elaborati e un lirismo musicale spesso degno di una preghiera. Come fu il caso di quell’Hallelujah del 1985, ispirato al re David e Betsabea, portato al successo da Jeff Buckley e poi eseguito in tutte le salse, da Bob Dylan e Bon Jovi ad Elisa sino all’ultimo video virale dei Pentatonix.

Oppure ancora Story of Isaac e Who by fire che rievoca una poesia liturgica ebraica dell’XI secolo.

L’ultimo Cohen parla però più apertamente a Dio, con continui riferimenti biblici, del viaggio della vita arrivato al tramonto e della morte. Con voce scura, profonda, struggente Cohen canta «Sono pronto, mio Dio» in You want it darker (Tu vuoi più buio), accompagnato dai Cantor Gideon Zelermyer & the Shaar Hashomayim Synagogue Choir di Montréal, la città in cui nacque il 21 settembre 1934. Una preghiera oscura, con voci che evocano suoni con cui Cohen è cresciuto, piena di domande («Non sapevo che io avessi il permesso di uccidere...») fatte da un uomo anziano che ormai si dice «fuori dai giochi» (Leaving the table) in un mondo in cui nemmeno la fede pare poter più dare conforto («Alza questo calice di sangue e prova a dire una preghiera di ringraziamento», canta in It seemed the better way).

Nato poeta e scrittore, Cohen si scoprì cantautore negli anni Sessanta debuttando con l’album Songs of Leonard Cohen del 1967 considerato opera maestro con canzoni come So long, Marianne o Suzanne, tradotta in italiano da Fabrizio De André.

La sua voce profonda e il suo stile colto, romantico e spirituale, si fecero largo nella scena folk che lanciò Bob Dylan e Joni Mitchell, facendone uno degli autori più influenti del mondo. «Sobrietà ed essenzialità lampanti anche nell’attenzione per parole e note capaci di raccontare una ricerca interiore imbevuta di realtà», ha ricordato ieri l’Osservatore Romano, unendosi al cordoglio di tanti artisti e politici, dal canadese Justin Trudeau all’israeliano Benjamin Netanyahu. La sua lunga carriera ha prodotto dischi epocali, tra cui Songs of love and hate (1971), I’m your man (1988) o Various positions (1985). Una vita non esente da eccessi in gioventù, passando per una lunga depressione, ma costellata da riflessioni filosofiche e tenace ricerca spirituale, come spiega la bella biografia di Ira B. Nadel Una vita di Leonard Cohen (Giunti, pagine 320, euro 20,00). A interrompere il suo isolamento nel monastero fu nel 2008 la scoperta di essere stato ridotto sul lastrico dalla sua manager che lo aveva truffato.

Cohen, allora, ritornò alla musica e ai concerti, più prolifico che mai pubblicando Old ideas (2012), Popular problems (2014) e l’ultimo album lo scorso ottobre. «A ottant’anni sai bene che tutto questo potrebbe fermarsi in un istante. Non si può mentire a se stessi, su questo – raccontò alla rivista Rolling Stone –. Ma finché Dio vuole continuerò a raschiare qualche altra canzone».

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