martedì 21 settembre 2021
“Natura, ombra e bellezza” chiude un trittico di mostre dedicato da Palazzo Te ai tanti aspetti di questa divinità archetipica che dichiara la vittoria dell’amore sulla guerra
Dosso e Battista Dossi, “La strega” (XVI secolo), opera esposta nella mostra “Natura, ombra e bellezza” a Mantova

Dosso e Battista Dossi, “La strega” (XVI secolo), opera esposta nella mostra “Natura, ombra e bellezza” a Mantova - Palazzo Te

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Se, dall’alba della modernità, lasciamo che risuonino le parole di Dürer – «Che cosa sia la bellezza non so» – lo scenario cambia, gli artisti si trasformano, ma le domande restano uguali. Domande che non esigono risposte e nemmeno chiedono spiegazioni. Affinché il gioco dei significati resti aperto, non occorrono dimostrazioni perentorie: l’enigma è necessario più di ogni verità. E cosa c’è di più enigmatico della figura di Venere attorno al cui mito secolare ruota “Venere divina. Armonia sulla terra”, progetto articolato in tre momenti espositivi allestiti a Mantova a Palazzo Te che hanno preso il via quest’anno il 21 marzo (“Il mito di Venere a Palazzo Te”) per proseguire il 22 giugno (“Tiziano. Venere che benda Amore”) e concludersi con la mostra inaugurata da qualche giorno dal titolo “Venere. Natura, ombra e bellezza” (fino al 12 dicembre; catalogo Skira). Curata da Claudia Cieri Via la mostra, attraverso dipinti, sculture, documenti provenienti da importanti prestiti internazionali, si articola in nove sezioni tematiche che mettono a fuoco i molteplici aspetti di questa divinità archetipica dell’Olimpo greco mostrandone le luci e le ombre, il fulgore e il furore. Ecco allora la Venere Pandemos, divinità legata alla fecondità naturale, la Venere Urania figlia di Ouranos espressione dell’amore divino, la Venere Anadiomene che esce dalle acque, la Venere Naturale che incede nei giardini fioriti come immagine della primavera, la Venere Cnidia di Prassitele, capolavoro assoluto dell’immaginario della bellezza femminile. Venere è inoltre protagonista di favole e presta le sue sembianze anche ad altre figure del mito antico, dando luogo a travestimenti e a interpretazioni complesse, che animano la letteratura e l’arte rinascimentale e barocca. Venere, madre di Cupido nella mitologia antica, è anche soggetta alla variabilità delle occasioni declinando il suo potere in termini ora naturalistici ora erotici, come nel caso dell’arazzo tessuto a Mantova su disegno di Giulio Romano, ma anche in altri aspetti legati all’inganno, alla magia e alla stregoneria, che troveranno espressione nella letteratura e nelle immagini fino al Seicento. Ma Venere è innanzitutto, secondo il Giudizio di Paride, il modello ideale della bellezza femminile, come documenta, ad esempio, la stanza detta Camerino delle Belle nel Palazzo Ducale di Mantova, dove venivano raccolti, a partire dall’esplosione del fenomeno del collezionismo alla fine del Cinquecento, i ritratti delle donne più belle delle corti italiane ed europee che si confrontavano con la divinità. Il percorso espositivo, che abbraccia un arco temporale che va dal II secolo a.C. al Seicento, si apre con una campionatura di statuaria antica, tra cui una Venere celeste simbolo della bellezza perfetta e dell’amore virtuoso, quale la Afrodite velata già di proprietà di Giulio Romano e da lui riprodotta in uno degli stucchi della Camera del Sole e della Luna di Palazzo Te. Protagonista delle favole mitologiche raccontate in particolare da Ovidio nelle Metamorfosi ricordate in mostra nella Camera degli Imperatori da codici miniati, libri a stampa e da dipinti del Cavalier d’Arpino, Paris Bordon, Veronese, Venere è stata sovente rappresentata dai grandi artisti in quelle forme allusive che richiamano lo sguardo dell’osservatore. Succede con Venere che disarma Amore del Samacchini o con Venere che benda Amore di Tiziano che affida al colore e al muto dialogo fra Venere, Eros, Anteros e le ninfe immerse nel paesaggio, la bellezza della pittura. Tuttavia, dopo essersi soffermata sull’immagine di Venere colta in un contesto naturale, rappresentata in un giardino (Dosso Dossi, Il risveglio di Venere), a volte con la presenza di una fontana che si lega al carattere rigenerativo dell’acqua (Scarsellino, Il bagno di Venere), nella Camera delle Cariatidi la mostra si sofferma sulla natura complessa, inafferrabile e ambigua della dea. La quale, sposa di Vulcano, amante di Marte e innamorata di Adone, non esita a ricorrere a pozioni e incantesimi che divengono strumenti di conquista e di affermazione pericolosi e ingannevoli, così come appare nelle opere di Lucas Cranach, Albrecht Dürer, Dosso Dossi. Un elogio alla bellezza conclude il percorso espositivo nella Camera delle Vittorie dove Venere è incoronata da Paride come la più bella tra le dee risultando vittoriosa su Pallade e Giunone. L’evento è rappresentato da una incisione di Marcantonio Raimondi che riprende un’opera di Raffaello e dal Giudizio di Paride di Rubens, opere accanto alle quali è posto al superbo Venere, Cupido e Marte del Guercino che dichiara la vittoria dell’amore sulla guerra.

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