martedì 26 novembre 2019
Parla lo scrittore e intellettuale francese della Martinica attento alle ragioni profonde dei più deboli e delle periferie: «Gli artisti abbiano più empatia verso i fratelli migranti»
Chamoiseau: «L'ecologia di domani è nelle relazioni»
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«Come mostrano i drammi delle migrazioni, dobbiamo inventare una nuova politica e una nuova filosofia della relazione e dell’accoglienza. Non abbiamo scelta, nel mutato contesto odierno, anche se le relazioni sono sempre imprevedibili e non possiamo sapere come sarà il mondo fra mezzo secolo. Possiamo nondimeno cogliere già oggi che quando si esce dalla relazione, si scivola nella barbarie». A sostenerlo è Patrick Chamoiseau, scrittore francese della Martinica impegnato in una scrittura attenta alle ragioni dei più deboli e delle periferie, salito sulla ribalta letteraria fin dal 1992, quando vinse il prestigioso Goncourt con Texaco, grande affresco narrativo sulle Antille. Il suo ultimo libro tradotto in Italia ha un titolo simile a un programma: Fratelli migranti. Contro la barbarie (traduzione di Maurizia Balmelli e Silvia Mercurio, per i tipi di Add Editore). Mescolando poesia e saggistica, Chamoiseau rivendica la necessità di un impegno degli artisti dalla parte di chi migra e soffre alla ricerca di un destino migliore. Poco mondano e legato alla Martinica, Chamoiseau ha appena accettato di varcare l’oceano per recarsi a Saint-Dié-des-Vosges, in Lorena, dov’è stato chiamato il mese scorso a presiedere il salone del libro della 30ª edizione del Festival internazionale di Geografia, dedicata proprio alle migrazioni, con l’area dei Caraibi anch’essa al centro dell’attenzione, in qualità di Paese invitato.

Lei impiega spesso la parola “empatia”. Le sembra un atteggiamento, un valore, a rischio?

Il fenomeno dei migranti che muoiono nel Mediterraneo, ai piedi di una delle grandi civiltà del mondo, è un segno lampante. Ci parla innanzitutto del logoramento dei dispositivi d’accoglienza dei rifugiati e degli stranieri, già sul piano giuridico. È dunque necessaria una revisione generale della trama giuridica di quest’accoglienza. Ma è pure il segno di un logoramento dell’immaginario politico, poiché oggi la cosa più semplice non sembra cercare una soluzione alla morte di queste persone, ma attizzare forme di xenofobia o razzismo, facendosi eleggere su basi tenebrose. È molto preoccupante. Inoltre, si tratta del sintomo di un mutato rapporto con il mondo, così come della necessità di una politica della relazione. Oggi, il mondo bussa alla nostra porta e siamo trafitti dagli stimoli che giungono dal mondo. L’orizzonte si allarga e avremo sempre meno persone che resteranno confinate nel luogo di nascita. Occorre attendersi una maggiore mobilità degli individui, una maggiore fluidità di popoli e civiltà. In questo contesto, occorrerà rivedere su scala planetaria la nozione d’ospitalità, che è una nozione di base. Fin dall’antichità, ogni comunità umana ha trattato tale questione, pur su base locale. Adesso, occorrerà declinarla su scala globale. Viviamo su un’unica Terra e ciò vale a maggior ragione tenendo conto delle sfide ecologiche che abbiamo davanti, che ci fanno sentire tutti sulla stessa barca.

La poesia e la letteratura possono davvero svolgere un ruolo su questo fronte?

Un grande scrittore dei Caraibi, Edouard Glissant, parlava del pensiero dei poemi. Una grande poesia è pure un luogo di riflessione filosofica su ciò che è umano e ciò che è naturale, così come sull’evoluzione delle società. C’è un pensiero proprio ai poemi, come esiste un pensiero proprio all’arte. L’opera artistica è pure una modalità conoscitiva. Una questione come quella dei migranti deve certamente essere trattata in modo sociologico, giuridico, economico, ma può essere trattata pure in modo poetico, per comprendere innanzitutto qual è l’immaginario che sottende. Mi riferisco a questa zona sensibile che non riguarda solo i bisogni fisici immediati, ma che costituisce la poetica della vita, includendo la fratellanza, l’affettività, la compassione, la creatività, la musica, il canto, l’amore. Esplorare queste dimensioni grazie alla scrittura e all’arte può aiutarci a trovare le soluzioni anche a drammi della portata di quello dei migranti. Delle soluzioni davvero umane.

Il mondo caraibico, con tutti i suoi scambi, è stato spesso paragonato al Mediterraneo. Terreni fertili per la riflessione?

Secondo Glissant, il Mediterraneo ha dimostrato nei secoli la capacità di concentrare gli uomini e le idee, anche attraverso le grandi religioni monoteistiche, mentre i Caraibi hanno esercitato una capacità di diffrazione, creando dei mosaici antropologici e culturali. Ancor oggi, sperimentiamo nei Caraibi il processo di creolizzazione, che ci obbliga a riconsiderare di continuo la nostra identità, la nostra lingua, la nostra storia, il nostro rapporto con gli altri.

Ma al di là delle differenze culturali, un fenomeno come quello migratorio si ritrova in tutti i continenti. Questa trasversalità la colpisce?

Mi colpiscono innanzitutto le forme d’immensa regressione suscitate dal neoliberismo, che ha trasformato così tanti individui in consumatori. Questi individui, talora rinchiusi pure nella bolla della propria precarietà economica, tendono a divenire più egocentrici. Tutti si ritrovano così prima o poi davanti a un bivio, divenendo a volte persone dotate di una profonda ricchezza relazionale, oppure scivolando in forme anche spinte d’individualismo. È questo contesto che spiega la diffusa indifferenza nella quale muoiono migliaia di migranti. A livello pubblico, si osserva invece un inaridimento dell’immaginario politico.

Da più parti, si cerca di promuovere un’ecologia umana. Che ne pensa?

L’ecologia è per definizione relazionale. In proposito, mi pare essenziale concentrarsi proprio sull’idea di relazione, ovvero rivitalizzare di continuo i legami fra gli individui, i popoli, le civiltà. In altri termini, occorre costruire in modo umano la relazione con l’altro: un altro che non include solo gli stranieri, ma pure la natura, gli insetti, la biodiversità, o ancora l’impensabile, ovvero ciò che supera la nostra capacità di pensiero. La nostra vera sfida, oggi, è ricostruire un immaginario ampio della relazione.

Che ruolo possono svolgere le religioni per abbattere i muri e avvicinare gli esseri umani?

Le grandi spiritualità hanno sempre espresso delle grandi intuizioni, innanzitutto nel nostro rapporto con la natura, ma anche a proposito delle capacità poetiche dell’uomo. Ciò è vero anche per l’animismo, che organizzava un rapporto rispettoso con la natura, su una base mistica. Oggi, viviamo in società spesso dominate da un approccio scientifico. Ma anche la scienza potrebbe diventare meno indifferente alla spiritualità. Ritengo che chi è sensibile alla spiritualità, entra maggiormente in un processo di pienezza e realizzazione personale, rispetto a chi si concentra solo sulle priorità materiali. Dati gli sconvolgimenti in corso, i genitori di oggi non sanno in quale società vivranno i loro figli. Ma possono almeno cercare di trasmettere la capacità di tenersi in relazione con ecosistemi estremamente mutevoli e fluidi. Nutrire di continuo, con i figli, un immaginario della relazione.

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