sabato 30 maggio 2015
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«Ahi…». Il suono viene dallo stomaco. «Ancora di più Sacha, devi mettere paura e comunicare un senso di inquietudine», suggerisce Giovanni Crippa. «Ahi, storie segrete, dove, dove trovarle? C’era una volta: dentro o fuori?», riprova Sacha. «Bene così. Perché devi sorprendere il pubblico. Devi suscitare quella curiosità che spinge alla conoscenza. Perché quando non abbiamo più la curiosità di scoprire e di conoscere, quella è già la morte dello spirito». Valentina, seduta sulle assi di legno del pavimento, prende una matita colorata e scrive la frase sul suo copione del Castello del duca Barbablù.Al primo piano della Scuola di teatro del Piccolo di Milano si prova. Uno degli “Esercizi di recitazione” che è la materia di Crippa. «Docente per caso, da quando Luca Ronconi mi ha chiamato per fare da intermediario tra lui e i ragazzi della scuola: voleva qualcuno che traducesse la sua teoria in pratica, qualcuno che aveva una lunga frequentazione con il suo modo di fare teatro». Dopo la morte del regista, lo scorso 21 febbraio, Crippa, già coordinatore didattico, ha preso in mano il timone della Scuola, subito intitolata a Ronconi. «E mi appresto ora a passarlo a Carmelo Rifici, che sarà il nuovo direttore dei corsi di teatro», spiega. Intanto Sacha, maglietta nera, tuta e calze antiscivolo continua a leggere la sua parte, che è quella del Prologo. «Voi mi guardate, io vi guardo. Il sipario delle nostre palpebre si leva». Crippa lo ferma ancora. «Qui ci vuole un controtempo, perché il pubblico si aspetta che tu parli del sipario del teatro, invece è quello degli occhi». Sacha si appunta la pausa sul copione, quasi fosse una partitura. E riparte, mentre i compagni lo guardano.«L’ambiente competitivo aiuta ad avere la grinta per continuare», racconta Sacha Trapletti, 21 anni, è di Novara. «Prima la scuola alberghiera, poi Scienze e tecnologie alimentari. Ma in contemporanea ho frequentato una scuola di circo. Ho lasciato l’università e ho scelto il Piccolo perché volevo una scuola che mi aiutasse a conoscere meglio me stesso». A teatro lo fanno mettendo i ragazzi a confronto con i grandi testi classici: i greci e la poesia, per arrivare sino a Shakespeare e a Cechov. «La Scuola del Piccolo è organizzata in sezioni didattiche: recitazione, voce, corpo e cultura», racconta Crippa mentre dall’aula del secondo piano si sentono arrivare colpi sul pavimento, Maria Consagra sta facendo lezione di Movimento ad altri allievi.Dal 1986, nei locali sopra il Teatro Studio, ha sede la Scuola fondata da Giorgio Strehler che l’ha diretta sino alla sua scomparsa, nel 1997. Il testimone è poi passato a Luca Ronconi. Nove corsi che hanno diplomato 224 attori che oggi lavorano sui palcoscenici italiani. Occupazione garantita per il 98% di loro. Quello che è iniziato lo scorso autunno è il decimo corso. Tre anni di lezione e poi il diploma riconosciuto dalla Regione Lombardia. Al bando rispondono ragazzi italiani, ma sono anche molti gli stranieri che si presentano ai provini. «Il mondo dello spettacolo è molto inflazionato perché ci sono molte scuole e da queste escono un’infinità di attori», riflette Crippa che poi si guarda in giro. «Martina, leggi questo articolo. Ci aiuta a capire l’atmosfera che dobbiamo ricreare per Barbablù».Martina Sammarco viene da Pojana Maggiore, in provincia di Vicenza, 26 anni, origini eritree. È approdata al Piccolo dopo una laurea alla Sapienza di Roma in Cinema. «La scuola non è una garanzia di lavoro, certo, ma offre solide basi. Poi il lavoro c’è per chi è disposto a mettersi davvero in gioco», racconta. Intanto, sul palchetto in legno che ricorda quello dell’Arlecchino di Strehler, altri tre allievi si sono posizionati ai leggii. «Ripartiamo da pagina 7 – chiede Crippa –. E come vi ho detto l’altra volta cercate di porgere la mano allo spettatore, invitatelo a salire sul palco per condividere con voi qualcosa di bello». Nei locali di via Rivoli la lezione di Ronconi è ancora viva. «Luca voleva formare attori con un forte spirito critico, capaci di esplorare tutte le possibilità di interpretazione di un testo. E oggi questa professione ha senso solo se sa comunicare qualcosa e rappresentare un presidio di civiltà in una società dove la cultura è spesso messa all’angolo e dove tutto scoraggia dall’intraprendere questa professione».Lezioni, ma anche tanto teatro. Gli allievi del Piccolo compaiono spesso in locandina nelle produzioni del teatro milanese. «Un modo per mettere in atto subito quello che impariamo in aula», spiega Francesco Santagada, vent’anni anni di Grottaglie, che è nel cast di Attori, mercanti, corsari. «Ogni sera, poi, andiamo a teatro, per rubare un po’ del mestiere», interviene Valentina Ghelfi, ventenne di Piacenza per la quale «il teatro è totalizzante, tanto che è sempre difficile poi tornare a casa e riprendere i ritmi normali». Crippa continua a provare. «Rileggi la didascalia. “Si inginocchia e vi affonda la mano…”. Allunga la a… fai vedere la mano che affonda…», suggerisce. Perché «il teatro è un’esperienza di comunicazione creativa e anche il pubblico deve partecipare». Valentina si appunta anche questa. Francesco intanto chiude l’astuccio, mette il copione nello zaino e prepara il biglietto della metro. Destinazione via Rovello. Nel chiostro stanno per arrivare i bambini delle scuole per vedere Attori, mercanti, corsari. Un palchetto, un paravento, le maschere della commedia dell’arte. Francesco indossa la sua. Sipario!
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