giovedì 29 maggio 2014
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​«Quando penso a quelle duecento ragazze rapite in Nigeria dai terroristi di Boko Haram, mi corre un brivido lungo la schiena. Ripenso a un altro rapimento di giovani studentesse, che ebbe un esito totalmente imprevedibile e che ha attraversato la vita della mia famiglia». In questi giorni lo ricordano in pochi, ma lui – Pippo Ciantia, medico e operatore umanitario per 29 anni in Uganda e nella regione di Grandi Laghi, sposato e padre di otto figli tutti nati in Africa – non lo può dimenticare, “l’altro rapimento”. Alle due di notte del 10 ottobre 1996 un commando di guerriglieri del Lord Resistance Army (Lra, l’Esercito di resistenza del Signore che da decenni imperversa in Uganda dove ha sequestrato migliaia di minori reclutati come bambini soldato o per procurare spose-bambine ai comandanti) fa irruzione nel St. Mary’s College di Aboke, nel Nord del Paese, e rapisce 139 ragazze tra i dodici e i sedici anni. Suor Rachele Fassera, missionaria comboniana e vicedirettrice della scuola, insieme a un giovane insegnante si mette sulle tracce dei guerriglieri, li raggiunge nella foresta e supplica il comandante di rilasciare le ragazze. Accade l’impensabile:109 di loro vengono liberate e tornano a casa con la religiosa, le altre – le più grandi – sono trattenute. I genitori di quelle rimaste prigioniere non si arrendono: nasce la Concerned Parents Association che s’impegna per la liberazione di tutti i bambini rapiti dal Lra: si stima che oltre ventimila bambini siano stati sequestrati durante il conflitto durato oltre vent’anni. Inizia una campagna nazionale ed internazionale per la liberazione delle “ragazze di Aboke” e per combattere il fenomeno dei rapimenti. I genitori coinvolgono ambasciate e governi, chiedono e ottengono da Giovanni Paolo II un appello ai ribelli per il rilascio dei prigionieri, incontrano il presidente ugandese Museveni, Hillary Clinton, Nelson Mandela, Kofi Annan, sensibilizzano i media locali e internazionali. L’anno dopo Ciantia, che conosce bene l’Uganda dove da tempo lavora come responsabile dei progetti di cooperazione dell’ong Avsi, viene interpellato da una troupe italiana che vuole realizzare un reportage sulla piaga dei rapimenti a partire dalla vicenda di Aboke e gli chiede di essere accompagnata in quella scuola cattolica sperduta nella savana. Grande è la sorpresa del medico quando viene avvicinato e salutato da due delle ragazze che erano state rapite e poi liberate. «Mi riconoscono e scopro che erano state compagne di classe di due mie figlie, Maddalena e Monica, alle scuole elementari di Kitgum, dove la mia famiglia aveva vissuto in precedenza. Tornato a casa, dopo il racconto di questo sorprendente incontro, le mie figlie, che ignoravano l’odissea delle loro ex compagne, vogliono subito rivederle. Nasce così con loro una frequentazione assidua e un’amicizia con suor Rachele, le suore di Aboke e gli insegnanti del college. Dopo avere conosciuto la sofferenza di quelle ragazze, Maddalena che voleva studiare economia all’università decide di diventare educatrice, si laurea con una tesi sui bambini soldato, ha lavorato per due anni con i minori vittime dei massacri in Ruanda e ora lavora in Svizzera con ragazzi disabili». Ma ci sono altri fili che la Provvidenza ha legato tra Ciantia (che dal 2009 è rientrato in Italia e oggi lavora a Milano per Expo 2015 dove segue la partecipazione dei Paesi in via di sviluppo alla manifestazione) e le ragazze del college di Aboke. «Suor Rachele mi aveva chiesto di aiutare Agnes Gillian Ocitti – una delle 29 rimaste nelle mani dei ribelli ma che dopo qualche mese era riuscita a fuggire in maniera rocambolesca durante una battaglia con l’esercito ugandese – che dimostrava particolare talento negli studi e una leadership naturale. Grazie ad amici italiani riusciamo a farle assegnare una borsa di studio che le permette di frequentare la facoltà di giurisprudenza all’università di Kampala con risultati eccellenti, poi la specializzazione in Olanda». Agnes è diventata un piccolo-grande simbolo della possibilità di riscatto per tanti che come lei hanno subito violenze e soprusi (il numero dei minori rapiti in questi anni dai miliziani dell’Lra oscilla tra venti e sessantamila). Un altro volto-simbolo è quello di Angelina Acheng Atyam, una delle fondatrici della Concerned Parents Association che ha unito genitori e parenti dei rapiti. Sua figlia Charlotte è una delle 139 ragazze sequestrate ad Aboke la notte del 10 ottobre 1996, quando aveva 14 anni, poi costretta a “sposare” uno dei comandanti dal quale ha avuto due figli. Angelina è divenuta un’icona della causa della pace in Uganda e dell’impegno per la liberazione dei minori sequestrati, ricevendo importanti riconoscimenti a livello internazionale. Per “smorzare” il suo attivismo i ribelli le avevano perfino offerto la liberazione di Charlotte, ma lei aveva rifiutato: «Se torno a casa solo con mia figlia, cosa diranno i genitori delle altre? Non potrò più continuare la lotta: noi vogliamo la liberazione di tutti i bambini». La Provvidenza ha premiato il suo coraggio: il 20 luglio 2004, dopo otto anni di prigionia, Charlotte riesce a scappare portando con sé l’unico bambino che le era rimasto, perché l’altro era dato per disperso dopo un attacco dei governativi contro i ribelli. Ma il giorno stesso della fuga Charlotte lo ritrova, sfinito e denutrito. Decide di ribattezzarlo Miracle, perché solo un miracolo le aveva permesso di riabbracciarlo.Suor Rachele, Agnes, Angelina, Charlotte: nomi e volti di donne che con la loro fede e l’impegno profuso hanno testimoniato al mondo che il male non è l’ultima parola sulla vita. E che la vita può sempre rifiorire. «Anche per questo – conclude Ciantia – la storia delle ragazze di Aboke deve indurre a tenere accesi i riflettori sull’odissea delle studentesse rapite da Boko Haram in Nigeria, e a sostenere in ogni modo la speranza delle loro famiglie».
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