mercoledì 14 dicembre 2011
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​Nei nuovi universi urbani scossi dalla crisi sono aumentati i livelli di paura, il razzismo, la violenza ai danni dei più poveri, i conflitti e le tensioni sociali sono esplosivi. Uno dei più autorevoli antropologi sociali, l’americano Arthur Kleinman, 70 anni, professore ad Harvard, attribuisce gli sconvolgimenti in atto in Occidente alla sofferenza sociale generata dalla crisi. Delle sue sfaccettature ha parlato ieri all’Università Statale di Milano, ospite dell’ateneo e del centro studi Souq della Casa della Carità, durante una partecipatissima «lectio magistralis».Professor Kleinman, la crisi che attraversiamo è dovuta all’impoverimento? «No, ha molti aspetti. Ad esempio in Cina, dove ho condotto ricerche dal 1978 ad oggi, non ci sono i problemi economici dell’Occidente, anzi; eppure anche quella società è attraversata da una crisi sociale simile alla nostra, con enormi sofferenze e un diffuso materialismo».In particolare negli Usa che cosa provoca sofferenza sociale?«L’assottigliamento della classe media. Per la prima volta nella storia abbiamo una piccola percentuale di persone estremamente ricca, mentre gli strati bassi sono in condizioni finanziarie disastrose. Per la nostra cultura appartenere alla classe media era uno stato di grazia, ora molta gente ha paura di precipitare dallo stato di grazia, perché chi cade perde la possibilità di curarsi, di far studiare i figli, la casa e le certezze sul futuro».Con quali conseguenze?«La crescita di quella che ho definito sofferenza sociale, che nelle città tocca i nuovi poveri e i gruppi più vulnerabili, dai nuovi homeless alle fasce deboli, agli immigrati. A mio giudizio politici, economisti, psichiatri non sono pienamente consapevoli della gravità della situazione».Su cosa si basa la sua definizione di sofferenza sociale urbana? «Su quattro assi. Primo: non si possono separare i problemi sociali da quelli sanitari, specialmente quelli dei poveri. Di conseguenza non vanno separate politiche sociali e sanitarie, come spesso si è fatto. Secondo: le persone impoverite subiscono violenza nelle città a causa della povertà, delle risorse economiche, delle loro conoscenze scarse e dell’inadeguatezza dell’assistenza sociale. Sono le persone più vulnerabili. Basta guardare ai quartieri ghetto, vi troveremo molta violenza, abuso di sostanze, depressione, suicidi. E queste persone vulnerabili aumentano. Terzo: le istituzioni che abbiamo creato peggiorano i problemi. Pensiamo ad esempio alla burocrazia che ha reso i servizi freddi e improntati a una logica materialistica. Infine, i cambiamenti di cui abbiamo bisogno partono da una filosofia differente. Vorrei introdurre qui il concetto di caregiving, il "prendersi cura". È quello che un sindaco, un politico, le persone che operano nel settore sociale devono sviluppare perché le istituzioni l’hanno perso. La stessa medicina lo sta perdendo. Non c’è tempo per prendersi cura, è troppo costoso».Tra i gruppi vulnerabili lei focalizza i migranti. Come affrontare il fenomeno?«Temo sia destinato a durare ancora a lungo e la sofferenza a peggiorare. Ma per un africano, l’Occidente resta più attraente. E per i lavori più umili voi avete bisogno degli africani come i nordamericani dei messicani. Eppure la società occidentale è impaurita. Gli immigrati vanno in quartieri con problemi di insicurezza finanziaria e sociale. Alcuni commettono crimini, incrementando nei ghetti un tasso di criminalità già elevato. E temiamo ci rubino la ricchezza. La paura della povertà unita a quella per gli immigrati ha così creato razzismo e discriminazione. Allora abbiamo elaborato progetti per discriminare i diversi come i rom o coloro che portano uno stigma, per sentirci più sicuri. E le risposte politiche sono state brutali, anche se forse ora la gente se ne sta accorgendo».Come spiega rivolte come quella di Londra a luglio o i movimenti degli «Indignados» in Spagna o gli «Occupy» nelle città americane?«È la protesta che esprime il risentimento dei giovani della classe media. Ma penso che non cambieranno nulla, credo che i mutamenti futuri verranno dalla Cina dove, con la crescita economica, si sta affermando una vastissima classe media. È la vera novità di questi anni e porta con sé la domanda di politiche migliori e buon governo. Certo, anche là c’è sofferenza sociale urbana, molto materialismo e consumismo. E il ceto medio è cinico, Ma si produrranno inevitabili cambiamenti sul versante sociale e politico, tanto che il cinese definisce con ironia il comunismo la via più lunga e dolorosa al capitalismo».In Italia per anni il welfare ha frenato la sofferenza sociale. Ora sono finite le risorse per finanziarlo. Come dobbiamo organizzarci: con il terzo settore?«Non basta. Ad esempio in India c’è poco welfare e moltissime ong e abbiamo il 30% dei bambini malnutriti e il 30% sovrappeso. Sicuramente il privato sociale deve fare la sua parte, ma se continuiamo a lasciare al governo meno responsabilità, si moltiplicheranno le ingiustizie. Dobbiamo invece cambiare approccio e prenderci cura delle persone che soffrono. È un problema di valori. Ciascuno li tragga da una fede religiosa o da un’ideologia. L’importante è umanizzare questo mondo che sta diventando freddo, cinico, crudele, troppo soggetto alle leggi della biologia. Prendiamoci la responsabilità di umanizzarlo prima che la sofferenza esploda».
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