martedì 29 marzo 2016
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C’è qualcosa di tragico nel progresso. Si crede di migliorare distruggendo il passato e si immagina di esercitare la libertà di pensiero trasformando in un dogma la diffamazione di quanto si è fatto ieri in nome di quanto si farà domani. Ma l’idea che in ogni novità ci sia un miglioramento è anche comica, o meglio ridicola. Per questo, fin dal momento in cui la modernità è nata e ha cominciato a crescere diventando il mito centrale prima dell’Occidente e poi del mondo, è stata anche uno dei più frequentati bersagli della satira. E la satira è specializzata nel cogliere quanto c’è di stupido nella pretesa di credersi sempre più intelligenti e quanto c’è di deforme nella ricerca insensata della perfezione. C’è poi la superstizione dei numeri progressivi, quella che esplode “laicamente” a Capodanno, festa del progresso, nella quale il numero che designa l’anno nuovo significa luminoso futuro e il numero che trascina via l’anno vecchio significa infelicità. Se ne era accorto un critico del progresso come Leopardi nel Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere, la più letta delle sue Operette morali. Se ne era accorto Baudelaire, quando disse che gli auguri di Capodanno «portano sfortuna» ma nessuno lo sa, «ecco perché l’umanità è così infelice». Il progresso è anche per lui uno dei bersagli preferiti: ne parla come della «negazione di Dio per opera delle macchine a vapore» e prevede che «presto si eleggerà Dio a suffragio universale». Quanto ad arguzia critica, Umberto Saba non fu da meno. In una delle sue Scorciatoie dice: «Il Novecento pare abbia un solo desiderio: arrivare prima possibile al Duemila». Chi continua a immaginare la modernità progressiva come un processo uniforme e coerente in cui lo sviluppo economico e scientifico va di pari passo con quello filosofico e artistico, farebbe bene a ricredersi: la maggior parte degli scrittori, degli artisti e dei filosofi moderni sono stati antimoderni e hanno spesso praticato la satira più sferzante delle innovazioni e delle mode. Se in Tempi moderni (1936) Chaplin ha fornito la più famosa rappresentazione satirica (tuttora valida) del rapporto fra uomo e macchina nella società industriale, anche la città e la casa moderne sono state oggetto di una critica ininterrotta, come documenta esaurientemente il libro di Gabriele Neri Caricature architettoniche (Quodlibet, pp. 307, euro 24). Forma e organizzazione di edifici e spazi pubblici e privati hanno subito, soprattutto nell’ultimo secolo, una serie di trasformazioni in cui l’utopia del “vivere razionale” ha mostrato tutta la sua irrazionalità. Neri ha studiato «le caricature, le vignette e le illustrazioni satire e umoristiche» che da metà Ottocento in poi hanno preso di mira il mondo dell’architettura e dei suoi protagonisti. La cui idea guida è stata di ambientare adeguatamente, o meglio con troppa e troppo coerente immaginazione, lo stile di vita di un’umanità futura che il presente si sentiva in dovere di anticipare. Tra i bersagli privilegiati in questa lunga storia ci sono il Crystal Palace di Londra (1851), il Guggenheim di New York (1959), la Sydney Opera House (1973), il Guggenheim di Bilbao e ovviamente il Centre Pompidou. Com’è noto, uno dei critici più influenti e radicali della moderna «decadenza etica ed estetica della società» è stato nell’Ottocento John Ruskin, l’autore delle Pietre di Venezia. Va qui ricordato che i più convinti critici della modernità non sono stati gli intellettuali dei paesi meno sviluppati, ma proprio quelli che hanno visto per primi, in Inghilterra, in Francia, in Germania e negli Stati Uniti, quanto c’era di grottesco, allarmante, degenerativo, dispotico nonché ridicolo nell’idea fissa di disciplinare, razionalizzare e adattare la vita e la natura umana agli imperativi di un progresso sempre subdolamente oscillante fra massima libertà individuale e massimo controllo sociale. Bisogna anche dire, infine, che il libro di Neri non fa solo storia della cultura: offre anche al lettore, come deve, una rassegna del più intelligente e inventivo senso dell’umorismo, dell’assurdo e del comico che per nostra fortuna ha accompagnato la marcia trionfale di quel cattivo gusto architettonico e urbanistico, moderno, postmoderno e ipermoderno, che perseguita il genere umano da quando la modernità è moda. © RIPRODUZIONE RISERVATA Nel suo saggio Gabriele Neri partendo dallo studio delle vignette umoristiche punta l’indice sulle trasformazioni subite, nell’ultimo secolo, dagli edifici pubblici e privati L’utopia del “vivere razionale” ha mostrato tutta la sua irrazionalità
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