venerdì 6 febbraio 2009
Archeologia In pericolo 2742 siti e migliaia di monumenti lasciati in stato di abbandono in Palestina. E la guerra ha aggravato la situazione La denuncia di una rivista. A rischio anche Betlemme, le tombe dei patriarchi a Sebastia e Nablus e il palazzo dell’Herodion
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Protezioni e parapetti sfon­dati, cartelli divelti, dida­scalie illeggibili, scavi ar­cheologici ricettacolo d’immon­dizia, servizi per i visitatori in condizioni più che precarie, mancanza di controllo… La col­lina di Gerico ( il tell, nel linguag­gio archeologico), dove sorgeva la città biblica ( la prima località che gli israeliti incontrarono nel­la terra di Canaan dopo il pas­saggio del Gior­dano) è l’imma­gine più elo­quente dell’ab­bandono nel quale versa il patrimonio cul­turale palestine­se. Nella morsa dell’intermina­bile crisi che at­tanaglia Israele e Palestina, le te­stimonianze sto­riche, archeologiche e monu­mentali sono in grave pericolo, soprattutto per la mancanza di i­stituzioni locali in grado di cura­re e tutelare un patrimonio che appartiene a tutta l’umanità. La denuncia della gravissima si­tuazione in atto ( resa ancora più problematica dalla recente e sanguinosissima crisi di Gaza) è lanciata dalle colonne del nume­ro di gennaio- febbraio 2009 della rivista fiorentina Archeologia vi- va. Carla Benelli e Osama Ham­dan ( la prima è membro del team di studiosi diretto fino a pochi mesi fa dal compianto pa­dre Michele Piccirillo; il secondo è docente di conservazione dei beni culturali presso l’Università Al Quds di Gerusalemme e diret­tore del Mosaic Centre di Gerico) firmano un articolo dal titolo i­nequivocabile: «Territori palesti­nesi. Il dramma dei beni cultura­li» . «L’aspro conflitto che coinvolge da decenni i ter­ritori palestinesi – scrivono – ha avuto e continua ad avere effetti devastanti sul patrimonio cul­turale. Com’è noto, si tratta di un Paese in via di definizione e diviso in due ( Cisgiordania e Striscia di Gaza), in parte ancora soggetto a occu­pazione militare e poco attrezza­to per gestire le vaste risorse sto­riche e artistiche » . Il numero dei siti e del patrimo­nio culturale a rischio è impres­sionante, a detta di un rapporto della Banca Mondiale, che in un progetto di catalogazione ha e­lencato 2.742 siti archeologici e oltre 50 mila strutture monu­mentali, oltre la metà delle quali in stato di grave abbandono. Ser­ve ricordare il nome di qualche località, per cogliere meglio il va­lore storico e religioso dei luoghi di cui si sta parlando: Gerico, con il tell e la città erodiana; Be­tlemme, con le vestigia cristiane, le piscine di Salomone, il palazzo dell’Herodion e i monasteri del deserto di Giuda. Per non parlare di Hebron, con le tombe dei pa­triarchi, e Sebastia e Nablus, le città dei samaritani. Nel contesto degli accordi israe­lo- palestinesi di Taba ( 1995) si e­ra stabilito che Israele avrebbe trasferito ( insieme al controllo del territorio), anche « la prote­zione e preservazione dei siti ar­cheologici, la gestione, supervi­sione, concessione di licenze e tutte le altre attività archeologi­che » all’amministrazione civile palestinese. Ma l’accordo defini­tivo è sospeso, il che significa che Israele controlla ancora il 70 per cento della Cisgiordania, ol­tre a Gerusalemme Est. Il risultato è che da una parte i palestinesi non hanno risorse ma soprattutto professionalità per tutelare il territorio e i beni culturali che vi sorgono ( uno dei casi eclatanti è il palazzo moder­no del Peace Center di Betlem­me, sulla Piazza della Mangiato­ria, un pugno nell’occhio a pochi passi dall’antica basilica della Natività); dall’altra Israele non interviene a tutelare il patrimo­nio archeologico se non solo quando questo ha una relazione diretta con il giudaismo. «A parte il controllo israeliano su gran parte della Cisgiordania, decine di siti storici e archeologici – scrivono gli studiosi – sono in­clusi nelle aree gestite dalle colo­nie ebraiche. In tre casi limite, che sono Sebastia ( l’antica Sa­maria), l’Herodion ( a sud di Be­tlemme con il palazzo fortezza di Erode il Grande) e Qumran ( con le grotte in cui sono stati rinve­nuti i rotoli del Mar Morto), i siti, pur trovandosi in piena Cisgior­dania, sono gestiti direttamente dall’Agenzia israeliana per la protezione della natura e dei parchi nazionali» . Il controllo di Israele su siti che – in virtù dei trattati – dovrebbero essere palestinesi, ha avuto an­che l’effetto di un depaupera­mento del patrimonio culturale, quando non di un vero e proprio trafugamento: «Migliaia di reper­ti – sostengono gli autori – tra cui interi mosaici pavimentali sca­vati nei territori palestinesi, sono esposti o si trovano nei magazzi­ni di varie istituzioni museali i­sraeliane». Quale può essere la soluzione a una situazione che appare dispe­rata? Gli estensori dell’articolo sottolineano la necessità di una vera politica per i beni culturali in Palestina, con la creazione di percorsi formativi specifici, che necessitano però del sostegno della comunità internazionale e dei governi più sensibili alla tu­tela di un patrimonio che riguar­da la storia di tutta l’umanità. Un aspetto toccato, tra l’altro, anche in un convegno internazionale organizzato dall’Autorità nazio­nale palestinese in collaborazio­ne con Cooperazione italiana a Gerico nel marzo di un anno fa. Ma la vera risposta al rischio che interi siti archeologici sparisca­no nel nulla, che monumenti millenari vengano inghiottiti dall’incuria dell’uomo e dall’in­clemenza del tempo, è la pace tra israeliani e palestinesi. E il sempre più necessario cammino di riconciliazione, di recupero della memoria e dell’identità storica di due popoli chiamati a condividere la stessa terra. Gerico, «Tell El Sultan» Samaria,Teatro romano
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