sabato 5 giugno 2021
La ripubblicazione del racconto “I Favoriti di Mida”, a cui si ispira l’omonima serie spagnola, è l’occasione per riflettere sulla giustizia sociale in campo economico
La serie Netflix “I Favoriti di Mida”

La serie Netflix “I Favoriti di Mida” - Netflix

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In una intervista al quotidiano “La Nuova Sardegna” rilasciata pochi mesi prima di lasciarci, il filosofo Remo Bodei fece un paragone tra la società europea dell’800, segnata dalla rivoluzione industriale e dalla presa di coscienza della classe operaia, con la nostra, caratterizzata dalla rivoluzione informatica che si porta dietro nuove clamorose diseguaglianze. Di qui una rivalutazione di buona parte del pensiero sociale di Marx, in cui centrale è l’idea che nello scambio fra capitale e lavoro sia insita un’ingiustizia: lo sfruttamento dei lavoratori. «La caduta dell’Urss e dei regimi dell’Europa orientale – diceva Bodei – ha portato discredito alle idee di Marx ma si è buttato via il bambino con l’acqua sporca. Si è dimenticato il valore dell’uguaglianza in un mondo, come quello in cui viviamo, in cui il “capitalismo algoritmico”, basato sulle nuove tecnologie, ha prodotto in Occidente una diseguaglianza mai vista».

Dove Marx ha avuto ragione, rilevava ancora il filosofo, è che la “proletarizzazione” a livello globale è realmente avvenuta, in quanto l’80 per cento della popolazione mondiale può considerarsi una vittima dei processi innescati dal moderno capitalismo globalizzato: «Certamente il sole dell’avvenire stenta a sorgere e non sappiamo quando il sistema capitalistico potrà scomparire. Di sicuro non succederà presto come pensano i sostenitori della “decrescita felice” e dell’“abbondanza frugale”». L’ac-cumulazione enorme di denaro dei cosiddetti Big Five e di personaggi come Bill Gates o Mark Zuckerberg, con ricavi più grandi di interi Stati, per Bodei «è ottenuta attraverso il potere soft e astuto di capitalisti che sembrano fare regali, leggi Internet gratis, mentre, al contrario, astutamente e costantemente, ci guadagnano e ti sfruttano».

Parole forti ma con accenti non molto lontani da alcuni passi dell’enciclica Fratelli tutti e da tante riflessioni di papa Francesco, con la critica alla proprietà privata che non può essere considerata un diritto assoluto prevaricatore delle legittime aspirazioni dei cittadini e dei popoli. O la difesa della condivisione dei beni praticata dalle prime comunità (“non è comunismo, è cristianesimo allo stato puro!”) e il forte grido contro le disuguaglianze crescenti in tutto il globo. In un recente dialogo pubblicato sulla rivista francese dei gesuiti “Etudes”, i due economisti Thomas Piketty e Gael Giraud – quest’ultimo anche gesuita – invocano una riforma del capitalismo in senso partecipativo, prendendo a modello nel caso dell’impresa quanto succede in Germania, ove i lavoratori hanno un peso notevole nella gestione delle aziende. Ancora, propongono un rapporto massimo di 1 a 12 nella differenza degli stipendi fra il più piccolo dipendente e il più grande manager. Tutte idee che vanno appunto nella direzione di una maggiore uguaglianza, sociale ed economica, fra le persone. Ma viene dalla Spagna e dalle serie tv in particolare la protesta più forte contro il neocapitalismo.

Ha già fatto storia La casa di carta, che in realtà dopo la prima stagione ha subito una brusca involuzione, ma ora il segnale più originale arriva con I Favoriti di Mida, sempre prodotta da Netflix. Una setta oscura che prende il nome dal famoso re che tramutava tutto in oro persegue l’obiettivo della giustizia sociale e la fine di un sistema economico basato sullo sfruttamento. Attraverso una serie di lettere minacciose dirette al potente editore Víctor Genovés, viene messo in atto un ricatto: se egli non verserà una somma considerevole (50 milioni di euro) essi uccideranno alcune persone a caso. La serie tv è ambientata in una moderna Madrid governata da un regime autoritario e teatro di sanguinose proteste sociali. Il giallo si infittisce sempre più e Victor, dopo che le vittime aumentano e mentre la polizia si mostra impotente, finisce con il cedere. Cercando di liberarsi dei Favoriti, in realtà ne diventa una pedina. L’ultimo episodio finisce lasciando aperti più scenari, che forse saranno svelati in una seconda stagione.

Ma la curiosità è il suo spunto originario, vale a dire un racconto di Jack London, intitolato appunto I Favoriti di Mida e ora pubblicato dalla casa editrice La vita felice (pagine 62, euro 7,00) nella traduzione di Valeria Laura Carozzi. Si tratta di un testo distopico, come altre opere peraltro dello scrittore americano ingiustamente considerato un autore per ragazzi (chi non ricorda Zanna bianca e Il richiamo della foresta?). In realtà London (18761916) fu affascinato dalle teorie socialiste e scrisse varie opere di fantapolitica, fra cui La peste scarlatta, un testo tragicamente tornato di moda con la pandemia. Anche in questo racconto, pubblicato per la prima volta nel 1901 sul mensile britannico “Pearson’s Magazine” e poi nella raccolta Moon Faces nel 1906, l’invettiva si concentra sullo spietato mondo capitalistico americano, capace di produrre enormi ingiustizie verso le fasce più deboli. Come nella serie tv, i Favoriti di Mida mandano le loro lettere e compiono i loro delitti per scatenare il caos e far crollare il sistema.

La legge della giungla sembra farla da padrone, sia in chi guida il mondo imprenditoriale sia in chi lo vuole distruggere. In questo caso il protagonista è Wade Atsheler, segretario personale del magnate delle tranvie Eben Hale, che muore improvvisamente e lo designa come unico erede. Tormentato e angosciato per il vile ricatto, Wade – e poi si scoprirà anche Eben, prima di lui – preferisce darsi la morte per interrompere la catena di delitti e lascia tutte le prove del complotto all’amico John perché lo denunci all’opinione pubblica. Un finale dunque diverso dalla serie di Netflix: più che composto da un gruppo di anarchici che vogliono destabilizzare il sistema colpendolo al cuore e cedendo comunque alla logica della violenza, il gruppo dei Favoriti di Mida pare alfine una sorta di massoneria composta dagli stessi capitalisti che mirano a un controllo assoluto della società. Jack London in realtà nel suo disegno immaginifico lascia al lettore il giudizio finale, limitandosi ad auspicare la realizzazione degli ideali di fratellanza e uguaglianza.

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