venerdì 4 febbraio 2011
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Il 21 gennaio un dossier dell’Italia è stato inoltrato agli uffici parigini dell’Unesco: i paesaggi vitivinicoli del basso Piemonte – Langhe in testa, con le loro colline fitte di vigneti a ritocchino o a giropoggio –- sollecitano l’inclusione nella lista dei patrimoni mondiali. Patrimonio dell’umanità: tale si prospetta il futuro delle Langhe, area compresa per la più parte nella provincia di Cuneo, tra Tanaro e Bormida, dominata dalla piramide del Viso, il Monviso che da lontano veglia sornione sulla Provincia Granda.Con la Storia con la esse maiuscola le Langhe intrecciano da secoli rapporti privilegiati. La romana Alba Pompeia, odierna Alba, ha dato i natali a Publio Elvio Pertinace, imperatore nel 193, sia pure per meno di tre mesi. A Bene Vagienna le tracce del teatro della Augusta Vagiennorum, che condivideva l’onore del nome con Augusta Taurinorum e la più remota Augusta Praetoria, Torino e Aosta. Il centro di Pollenzo è ricalcato sul perimetro dell’anfiteatro di Pollentia. A Cherasco, nel 1631, è stata sottoscritta la pace tra il Savoia Vittorio Amedeo I, il Papato e gli Imperiali. Sempre lì, il 28 aprile 1796, un altro Vittorio Amedeo, terzo della serie, sconfitto da Massena a Mondovì, firmava l’armistizio che permetteva al generale Buonaparte di continuare la prima campagna d’Italia. E poi c’è Alba, con i suoi 23 giorni da città liberata nel 1944, l’epopea raccontata da Beppe Fenoglio.Le Langhe non sono solo tartufo e Barbaresco, nutella e nocciole, vigne e allevamenti di vitelli fassoni, carne cruda all’albese e bollito di bue grasso di Carrù, tajarin, ravioli del plin, bagnacaoda e bunèt, leccornie che fanno stravedere tedeschi e inglesi nutriti a salsicciotti e porrigde.Si mangia sontuosamente nelle Langhe. I vini fanno la fortuna di un comprensorio un tempo povero, depresso, perfino da fame, e non c’è bisogno di scomodare La malora di Fenoglio. Oggi «c’è ricchezza diffusa, ma anche solidarietà, la società non si è chiusa in se stessa», testimonia Antonio Rizzolo dall’osservatorio privilegiato di direttore del settimanale "La Gazzetta d’Alba": «C’è grande intraprendenza, tenacia, saldo legame con la terra, attaccamento ai valori tradizionali, anche a quelli del cattolicesimo. Ma un cattolicesimo impegnato».Così si è cristallizzato lo specifico langarolo, di una Langa isola felice seppure non immune dai problemi della contemporaneità. Uno specifico che è identità vivace, dinamica, colta, invitante. Lo sanno gli stranieri, svizzeri soprattutto, che restaurano i casolari dei borghi più remoti per andarci ad abitare, come gli inglesi nel Chianti. Lo sanno le frotte di compratori che calano da ogni dove per approvvigionarsi all’annuale fiera del tartufo. Lo sanno i turisti del mordi e fuggi che Luigi Barbero, presidente dell’Ente turismo Alba, Bra, Langhe e Roero vorrebbe fedelizzare con ricette ad hoc in cambio di soggiorni più lunghi. Alberto Cirio, assessore regionale al turismo, nota che ormai i visitatori (490 mila pernottamenti nel 2009) superano il numero dei residenti.Tartufo e Barolo propiziano il turismo colto. A Pollenzo è nata l’Università degli studi di Scienze gastronomiche. Ad Alba la Fondazione Ferrero è anche polo espositivo di primissimo livello, e la mostra dedicata a Giorgio Morandi che si è chiusa il 16 gennaio ha fatto l’en plein, «61.298 biglietti in tre mesi», testimonia Edoardo Borra. Alba città offre molto, a cominciare dalle sue torri, dal suo duomo, l’imponente cattedrale oggetto di recenti lavori di riqualificazione e di adeguamento liturgico del presbiterio. Interessanti la chiesa della Maddalena, quella di San Giovanni con un dipinto di Macrino, quella di San Domenico con affreschi cinquecenteschi.Fuori città chiese, chiesette, oratori. Un gioiello è la facciata romanica di San Pietro a Cherasco. Romanica è la cappella di San Sebastiano a Bergolo. La parrocchiale di Niella Tanaro conserva abside e campanile dell’XI secolo. Una tavola di Macrino è custodita nella parrocchiale di Neviglie. Risale al Mille la chiesa di San Ponzio a Monticello. Pregevoli gli affreschi della trecentesca Annunziata di Montaldo Roero. A chi ama percorrere i crinali solitari tra vigneti che si fondono con altri vigneti si dilaterà il cuore per il panorama a 360 gradi che si apre agli occhi una volta raggiunta la chiesetta alla sommità della collina della luna e dei falò a Santo Stefano, patria di Cesare Pavese.E poi ci sono i castelli, torri e castelli a profusione. Qualche nome: Grinzane, Barolo, Serralunga, Govone, Magliano Alfieri, Roddi, Mango, Benevello, Borgomale, Verduno, Guarene. Dove è passata la storia, restano le fortificazioni.Che dire poi dei borghi abbandonati, isolati, segreti e silenziosi, tutti da scoprire perché non hanno perduto la vocazione all’ospitalità? Un caso tra tutti: Bergolo, paese di pietra rimasto con 80 abitanti, che si è trasformato in vetrina dell’arte contemporanea.Questa è la Langa, la terra di Pavese e di Fenoglio. Intatta quando è fuori mano, sconciata – ahinoi – dal cemento armato dei capannoni nei fondovalle e lungo le arterie principali. È il prezzo della crescita economica, dell’industrializzazione, del boom dell’enologia. Il benessere diffuso ha portato crescente disaffezione verso la campagna; ai vigneti, vere miniere d’oro, provvedono ormai gli immigrati dell’Est, dei quali i proprietari dei fondi si contendono le braccia. Sicché una sfida di portata epocale si annuncia ineludibile: trasformare in langaroli doc i figli e i nipoti dei macedoni che sgobbano su per i bricchi tra i filari. «Prepariamoci ad una Langa sempre più cosmopolita», riflette Edoardo Borra, responsabile del centro di documentazione Beppe Fenoglio della Fondazione Ferrero.
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