domenica 23 aprile 2017
Con «Lampedusa Way» si chiude la poetica «Trilogia del naufragio» di Lina Prosa da Segesta. Nell'ultimo capitolo, il dramma è l'attesa
Graziano Piazza e Maddalena Crippa in «Lampedusa Way»

Graziano Piazza e Maddalena Crippa in «Lampedusa Way»

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Mahama e Saif ballano, abbracciati nella comune disperazione, fra le reti dei pescatori sulla spiaggia di Lampedusa, sulle note di My way di Frank Sinatra. I due sconosciuti, alla ricerca dei loro rispettivi nipoti Shauba e Mohamed scomparsi nel nulla dopo la traversata del Mediterraneo, hanno trovato la loro strada. Resteranno in Italia diventando «clandestini per sapere la verità». Si chiude così, con un groppo in gola al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano (oggi ultima rappresentazione) Lampedusa Way, protagonisti due “mostri” di bravura come Maddalena Crippa e Graziano Piazza. Conclusiva “stazione” della Trilogia del naufragio di Lina Prosa, percorso doloroso nel dramma migratorio in forma di teatro epico, con un linguaggio evocativo e poetico capace di trasformare la cronaca in mito assoluto. Trilogia iniziata nel 2011 con il «viaggio verticale in giù» verso gli abissi della venticinquenne Shauba in Lampedusa Beach, proseguito con il micidiale «viaggio verticale in su» fra le nevi delle Alpi del trentenne Mohamed e conclusosi ora, nell’immobile attesa di una risposta di Lampedusa Way.

D’altronde l’autrice, Lina Prosa da Segesta, classe 1951, da anni si dedica a un paziente lavoro di riscrittura e attualizzazione della tragedia greca da Ifigenia a Pentesilea e le Baccanti sino alle Troiane (riviste come critica alla deriva commerciale della bellezza) che debutteranno al Teatro Napoli festival il 16 e 17 luglio. «Mi piacerebbe tanto che la mia Trilogia del naufragio venisse data tutta insieme in Italia, dal Biondo di Palermo e il Piccolo di Milano, che l’hanno prodotta da noi. Sa, alla Comédie-Française l’hanno fatto... ». È una donna gentile e riservata Lina Prosa, quasi reticente nell’ammettere di essere diventata uno degli autori teatrali italiani più richiesti Oltralpe tanto da essere stata appena insignita della onorificenza di Cavaliere delle arti e delle lettere della Francia. Tutto merito del successo della sua Trilogia prodotta per prima dal prestigioso teatro parigino, mentre in Italia il suo talento resta tuttora sottovalutato (i tre testi sono pubblicati da Editoria spettacolo). Nel 2011 il concorso internazionale indetto dal Bureau des Lettres francese è vinto dal suo Lampedusa Beach, scritto con rara preveggenza nel 2003 «quando i continui sbarchi a Lampedusa erano conosciuti quasi solo dai siciliani e l’isola lasciata sola a se stessa» racconta l’autrice. Il testo viene prodotto dalla Comédie-Française e promosso attraverso dibattiti pubblici e nelle scuole. «La gente voleva saperne di più tanto che fu lo stesso pubblico a chiedere un secondo capitolo – aggiunge la Prosa –. La direzione del teatro, così, mi commissionò un’intera trilogia a patto che fossi io a curarne la regia, cosa che non avevo mai fatto prima. Per me è una favola». Anche perché, spiega, ciò le permette di avere il totale controllo sulla rappresentazione di un dramma «che eleva la cronaca con un afflato poetico. Il problema dei migranti oggi parla di noi. La poesia entra nel cuore dello spettatore, dà voce universale alle nostre paure, al dolore, all’amore, al timore della morte. Dobbiamo abbattere il muro tra noi e la migrazione. La poesia ha la funzione politica per un cambiamento di approccioDa qui anche la scelta di attori “bianchi” per una maggiore immedesimazione.

Il racconto lirico della boccheggiante Shauba verso il fondo del mare, come una moderna Ofelia che ha dovuto affrontare l’orrore della violenza carnale, si trasforma in mito universale. «E nel finale ribalta i ruoli chiedendo a noi di andare in Africa a chiedere il permesso di soggiorno per ritrovare noi stessi». Perché per Lina Prosa il naufragio è la metafora della condizione contemporanea. Il secondo capitolo è ispirato a un episodio vero, il trasferimento di cento migranti dal sovraffollato centro di accoglienza di Lampedusa ad un centro sulle Alpi a 1.800 metri di altitudine. Qui Mohamed, il primo ingegnere elettronico africano, cercherà una via d’uscita, perdendo la vita fra le nevi. Nell’ultimo capitolo, una sorta di Aspettando Godot contemporaneo, il dramma è l’attesa. «Per la civiltà mediterranea il recupero del corpo da restituire alla famiglia è importantissimo – conclude –. Dobbiamo rispettare la nostra civiltà, e non continuare a vedere l’emigrazione come un problema economico. L’Europa è basata solo sull’economia, questo sì ci porterà al naufragio».

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