sabato 25 giugno 2016
Fausto Bertinotti apre il nuovo ciclo delle "prediche" curate dall'archidiocesi Spoleto-Norcia al Festival dei Due Mondi: "Un messaggio per immagini. Le parabole di Gesù".
 L'albero, la trave e il tempo di una nuova resistenza
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Addentrarsi in una riflessione su una parabola del Vangelo è sempre un compito molto impegnativo. Neppure la vocazione universalistica della parabola riesce a vincere la percezione della propria inadeguatezza. La parabola dell’albero non fa eccezione sebbene appaia meno spiazzante di altre come quella del figliol prodigo o quella dei talenti. La parabola dell’albero, a prima vista, sembra, infatti, di più facile accesso per il nostro senso comune. Può sembrare che, in questo caso, la difficoltà riguardi il fare (cioè il seguire un comportamento coerente al messaggio che scaturisce dalla parabola) piuttosto che la sua comprensione. In realtà, credo, che ci venga richiesto un oltrepassamento della pur così forte domanda di considerazione e di comprensione dell’altro. 

Bisogna perciò farci aiutare da qualche premessa che può essere utile alla bisogna. La parabola di Gesù non è meno importante del miracolo nella costruzione della conoscenza, essa è parte della relazione attesa, come l’incontro del suo sguardo per Zeccheo. La stessa forma della parabola è una traccia che ci parla di una conoscenza che nasce dalla vita del popolo. A me viene in mente la lezione di Gramsci che ci ammoniva sul fatto che la connessione sentimentale tra l’intellettuale e il popolo è indispensabile alla comprensione di ciò che accade nel mondo. La parabola coinvolge a partire dal basso invece che calare la parola dal cielo della teoria. Qui la dura contrapposizione tra il peso della trave che coltiviamo in noi e l’esiguità della pagliuzza che grava sull’altro è essa stessa promotrice della irresistibile domanda a spezzare la corazza del proprio egoismo per poter incontrare l’altro. È una domanda promossa dall’idea dell’eguaglianza tra gli uomini e sollecitatrice di misericordia e di amore. 

Ma di quale natura è fatta questa trave? Dalle risposte alla domanda dipenderà anche la chiamata in causa oltreché dell’io, anche del noi, cioè delle persone come della comunità e della società. Si può ricordare, utilmente, che la parabola dell’albero viene dopo che Gesù ha già scelto gli apostoli e ha proclamato scandalosamente «amate i vostri nemici» e «siate misericordiosi, non giudicate e non sarete giudicati». La trave non è solo sproporzionata rispetto alla pagliuzza, si fa intollerabile per l’umanità. Forse ci può aiutare alla comprensione del messaggio riflettere sulle caratteristiche peculiari del Vangelo di Luca. Il discorso della pianura precede, in esso, la parabola dell’albero. Qui ci sono, diversamente da Matteo, oltre alle beatitudini, anche le minacce. «Guai a voi, ricchi… Guai a voi che ora siete sazi… Guai a voi che ora ridete… Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi». Non c’è forse qui delineata la natura della trave (e, per quel pochissimo che gli somiglia, della pagliuzza)? Io penso di sì, la trave è fatta di ricchezza, di potere e di consenso acritico ai falsi profeti (oggi diremmo al pensiero unico). Sono loro che ostacolano la misericordia, sono loro che spingono a denunciare la pagliuzza nell’occhio dell’altro piuttosto che fare i conti con la propria trave. 

Dunque, è evidente, nella parabola, il simbolo dell’antitesi tra la pagliuzza e la trave proprio nel suo carattere paradossale. Essa rende trasparente l’ammonimento contro l’ipocrisia di chi indica un insignificante difetto nell’altro, mentre nasconde quello proprio che è, invece, enorme. Su essa si fonda la denuncia delle false guide e, attraverso la necessità di avere “cuore buono”, l’imperativo di corrispondere, nella vita, a ciò che si dice, ciò che si fa. Il rifiuto delle false guide diventa così connesso sistematicamente alla scelta della corrispondenza, nell’esperienza umana, tra la parola e la vita. Vorrei provare a pensare se oggi, nel tempo in cui viviamo, non ci sia il bisogno di indagare una particolare relazione tra i nuovi falsi profeti e il paradosso della trave e della pagliuzza. Penso che l’organizzazione sociale, che la Laudato si’ ha letto così lucidamente, sia ormai minacciosa nei confronti dell’umano, sia con il processo di mercificazione nei rapporti economici e sociali, sia nella produzione di una cultura alienata. In essa il potere, la ricchezza e il successo, non si accontentano più di condizionare la vita e la relazione tra le persone ma hanno la smisurata ambizione di prenderne il posto per affermare “l’avere contro l’essere”. Se questa disastrosa ipotesi dovesse affermarsi, il paradosso della trave e della pagliuzza perderebbe la sua evidenza perché cadrebbe la discriminante tra ciò che è giusto e ciò che non lo è. La conquista del potere e della ricchezza diventerebbe, allora, il sovrano di una nuova religione, quella del denaro. L’appello di Camus che ci chiamava a resistere «all’aria del tempo» si fa ogni giorno più pressante ed esigente. La parabola dell’albero viene in suo soccorso e ci parla anche del nostro tempo.

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