venerdì 8 novembre 2013
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​Il 6 aprile 1944 Odoardo  Focherini, giornalista e amministratore delegato del quotidiano cattolico L’Avvenire d’Italia, scriveva al collega e amico Umberto Sacchetti: «Si compiono ora 27 giorni da quando, con le maniere più cortesi, fui invitato dal reggente del Fascio di Carpi, che venne a cercarmi all’ospedale dove mi ero recato per un ricovero, ad accompagnarlo a Modena dal signor questore che desiderava conferire da me subito… Da allora non ho più visto e parlato con nessuno».Focherini era detenuto nel carcere di Bologna per disposizione delle Ss. Con quali accuse? Una prima notizia – inviata sempre a Sacchetti – accennava «a una denuncia da parte del Fascio per sospetto favoreggiamento dei “pensionati” di Fossoli e sospetta propaganda. Non v’è nient’altro e nessuna prova di nessun genere. Di che propaganda si tratti non si sa, e quindi sono tranquillo». Ma l’uscita dal carcere, per la quale si adoperarono battendo varie strade la Santa Sede con Montini, cardinali (da Nasalli Rocca arcivescovo di Bologna a Schuster a Milano), vescovi dell’Italia settentrionale (da Carpi a Verona, da Trento a Padova) e autorevoli esponenti del mondo cattolico, a cominciare dal direttore Raimondo Manzini (un bombardamento alleato aveva distrutto la sede nel gennaio 1944), non ebbe alcun esito. Anzi per Focherini sarebbe iniziata una lunga e sofferta “via crucis” che si sarebbe snodata da Bologna al campo di concentramento di Fossoli nei pressi di Carpi (dove era rinchiuso anche Teresio Olivelli) a quello di Gries-Bolzano per approdare ai lager di Flossenbürg e poi di Hersbruck, dove sarebbe morto a 37 anni, per una setticemia non curata, il 27 dicembre 1944. «Un mese e più è stata l’agonia di Odoardo Focherini, presente a se stesso e alla sua sorte attimo per attimo… Ha saputo nell’infermità senza scampo che il Signore voleva tutto da lui», avrebbe testimoniato un deportato. Di questa “via crucis” c’è un’ampia documentazione (quasi un trattato di spiritualità cristiana, rivolto soprattutto alla famiglia, lo possiamo definire) costituita da un corpus di 166 lettere (21 hanno superato il vaglio della censura e 141 clandestine, trasmesse attraverso corrieri amici o compensati) che dopo una prima pubblicazione negli anni ’90 all’apertura del processo di beatificazione, a opera di don Claudio Pontiroli, trovano ora una più completa collocazione dal punto di vista filologico, storico e anche bibliografico nel volume, curato da Ulderico Parente, Maria Peri e Odoardo Semellini, intitolato Lettere dalla prigionia e dai campi di concentramento che le Edizioni Dehoniane di Bologna mandano in libreria da lunedì 11 novembre (pagine 424, euro 25,00). Questo libro presenta il percorso di un cristiano normale (sposato con sette figli, impegnato nell’associazionismo cattolico nella sua diocesi, operante con professionalità nel campo assicurativo e in quello dei mass media) che aveva fatto del Vangelo vissuto fino in fondo la sua regola di vita e che negli anni drammatici della guerra – e specie dopo l’8 settembre – si era adoperato con quanti erano esclusi e perseguitati per ragioni di razza o di diversa religione. Con altri sacerdoti e laici – a Carpi operava anche don Zeno Saltini – Focherini organizza una rete di solidarietà per favorire l’espatrio di ebrei e di militari sbandati in Svizzera (sono parecchi quelli che la utilizzeranno). Nelle lettere scrive però che i sospetti contro di lui sono «inesistenti», che non vi è nulla che lo riguardava e che riteneva piuttosto le accuse «un puntiglio del diavolo». Da Bologna continua ad occuparsi delle sorti dell’Avvenire d’Italia alla ricerca di una nuova sede (avverrà ai primi di maggio). Ma la sua posizione personale si fa sempre più difficile. «Il rappresentante della “ditta” – come definisce le Ss – mi ha comunicato che sarò presto inviato a fare l’agricoltore in Germania».Trasferito a Fossoli, annota le deportazioni in corso: «Ogni tanto, da qui partono per non tornare mai più… e non si sa con che criterio siano fatte le scelte». Nella sua situazione ritiene che la durezza dei nazisti nei suoi confronti «sia unicamente improntata per malvagio spirito antireligioso» (è una considerazione ripresa anche da don Paolo Liggeri, anche lui a Fossoli). In agosto Focherini viene trasferito nel campo di Gries-Bolzano. Nelle lettere si accenna a una sua possibile liberazione che il vescovo di Verona avrebbe ottenuto dal comando tedesco. Ma anche questa speranza cade. Scrive alla moglie: «Del trasferimento che tu mi annunciasti non ho saputo più nulla… Che pensare? A una presa in giro?. Tutte le ipotesi sono possibili, ma non si viene a capo di nulla. La fiducia non viene mai meno e solo non vorrei che gli avvenimenti mi impedissero eventualmente la realizzazione del sogno di ogni ore, delle speranze di ogni istante». Dal lager di Hersbruck partono solo due lettere, con la data 8 ottobre. Sono in tedesco, lingua che Focherini non conosce: sono scritte una da un deportato e l’altra, alla moglie, quasi certamente da Olivelli. Dice quest’ultima: «Mia carissima Maria, mi trovo in un campo di lavoro. Qui come sempre sono sano e di buon umore… Io lavoro e non ho bisogno di nulla di speciale, tranne la certezza della tua incrollabile serenità. Siete la mia pena e la mia gioia. Arrivederci! Il Signore sia con voi e con noi». Ma quando la lettera arriverà alla moglie, Focherini, da servo fedele del Vangelo, aveva concluso la sua vita.
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