venerdì 3 aprile 2009
Molti episodi inventati nel film sull’ex schiava che dal 2000 è santa. «Così l’abbiamo avvicinata alla gente».
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L’importante è non guardarla con l’atteggiamento del bio­grafo. Perché Bakhita, la mini­serie che Raiuno manda in onda do­menica 5 e lunedì 6 aprile, non rac­conta per filo e per segno la vita della suora canossiana sudanese, ex schia­va, vissuta in Veneto alla fine dell’ 800 e canonizzata nel 2000 da Giovanni Pao­lo II. Per usare le parole della produt­trice Ida Di Benedetto e degli sceneg­giatori ( Filippo Soldi, Filippo Gentili e Dino Leonardo Gentili), «Bakhita, co­me tutti i film, è un’opera artistica. Se ci fossimo attenuti alla biografia, a­vremmo finito per fare un documenta­rio» . Invece, «il progetto è partito dall’amore per la figura di Bakhita ed è stato scritto in modo da far capire al pubblico chi fosse questa santa. Su una cosa sono certa: non abbiamo tradito Bakhita, il suo animo, il suo valore, la sua profondità. Perché, per noi che brancoliamo in una società sempre più povera e fatta di senti­menti superficiali, quel­lo di Bakhita è un mes­saggio che deve far riflettere» . La fic­tion, dunque, ripercorre ( a suo modo) le vicende della vita della santa che, all’età di soli sette anni, venne rapita dal suo villaggio in Sudan e venduta più volte, durante anni di grande sof­ferenza fisica e morale. Arrivata in Ita­lia con il nome di Bakhita ( cioè «fortu­nata» , come l’avevano chiamata i suoi rapitori) per fare la bambinaia in una famiglia italiana, la giovane ebbe mo­do di entrare nel convento delle suore Canossiane di Venezia, di conoscere la religione cristiana e di chiedere il bat­tesimo, assumendo il nome di Giusep­pina. Tre anni dopo, la scelta di farsi suora Canossiana, di servire il « Paròn » che non era più quello che la frustava, che la torturava, ma Colui che le fece ritrovare la gioia. Ad interpretare Bakhita è la giovane, Fatou Kine Boye, che ha trent’anni, vive nel nostro Pae­se da otto e, in realtà, è di religione musulmana, racconta così la sua espe­rienza: « Non avrei mai immaginato di poter recitare in un film, quando mi hanno detto che ero stata scelta, quasi non ci credevo. Non so se si presen­terà un’altra occasione ma sono felice di avere interpretato Bakhita che è un simbolo, un esempio da seguire. Io vengo dal Senegal, dove musulmani e cristiani vivono fianco a fianco senza lotte. Entrambi crediamo in un unico Dio. Però, prima di questo film, non e­ro mai entrata in una chiesa cristiana. Quando è successo, e ho visto anche Bakhita imbalsamata, mi sono davve­ro emozionata». Bakhita è interpretata anche da Stefania Rocca, Ettore Bassi e Francesco Salvi. L’INTERPRETE UNA RAGAZZA MUSULMANA CHE FA LA COMMESSA A ROMAAd interpretare Bakhita, il regista Giacomo Campiotti ha voluto una giovane commessa di un negozio di abbigliamento del centro di Roma, che non aveva mai fatto l’attrice prima di questo film e che, finite le riprese, è tornata serenamente al suo negozio perché, dice, «con il lavoro aiuto la mia famiglia che è in Senegal, come fanno tutti gli africani che vivono in Italia». Fatou Kine Boye, che ha trent’anni, vive nel nostro Paese da otto ed è, altra curiosità, di religione musulmana Il regista Campiotti aggiunge: «Nonostante il suo primo provino sia stato un disastro, Fatou mi è sembrata subito l’unica in grado di interpretare una storia, come quelle di Bakhita, che racconta la necessità di trovare una senso profondo della vita, oggi purtroppo orientata solo al desiderio del possesso e avvelenata dalla paura per il 'diverso'».
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