venerdì 17 luglio 2020
Un lungo pregiudizio, figlio del positivismo, tacciò Greci e Romani di arretratezza. Ma che così non fosse lo dimostra ora una nuova sezione del Museo Archeologico
Il torchio vinario ad albero a leva da Villa dei Misteri a Pompei

Il torchio vinario ad albero a leva da Villa dei Misteri a Pompei - -

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L’antichità fu davvero un mondo senza macchine? Il luogo comune che vorrebbe le civiltà antiche scarsamente inclini allo studio della meccanica viene definitivamente smentito dalle più recenti ricerche sull’intreccio tra speculazione metafisica ed evoluzione del pensiero tecnico-tecnologico. Dell’esigenza di restituire agli antichi il giusto riconoscimento si è fatto carico il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, presso il quale una vasta ala sarà interamente ed esclusivamente dedicata ad un allestimento espositivo permanente su questo tema. Il progetto, frutto della collaborazione col Museo Galileo di Firenze, costituirà un unicum nel panorama dei musei archeologici in Italia e nel mondo. La meravigliosa fioritura artistica, letteraria, filosofica, che ha contrassegnato la lunga epoca antica, ha lasciato un’impronta così forte nell’immaginario collettivo, da lasciare in ombra altre forme di sapere e il lungo cammino di perfezionamento della tecnica nelle sue molteplici manifestazioni. La bocciatura delle conoscenze scientifiche e tecnologiche degli antichi è un prodotto della Rivoluzione industriale e dell’impetuosa affermazione del positivismo. Osservata e giudicata secondo parametri propri della modernità, l’antichità sembrava non avere contribuito, se non minimamente, alla definizione del trionfale percorso di scoperte e invenzioni, grazie alle quali erano state definitivamente sepolte false credenze, irrazionali timori e sciocche superstizioni. In un contesto propenso a identificare la civiltà con il progresso, si doveva ammettere, non senza imbarazzo, che l’antichità avesse poche ragioni per fare parte di questa storia. Introducendo impropri paragoni tra società di epoche diverse, antichisti, filosofi, storici della scienza e dei sistemi economici hanno dato il via a una stagione densa di studi circa le ragioni per cui il mondo greco, e soprattutto quello romano, non avrebbe potuto concepire un tipo di società tecnologicamente avanzata.

Da queste premesse è scaturita una ricostruzione alla rovescia, incentrata sulla ricerca delle cause di ciò che non avvenne. Le tesi prevalenti vedevano nell’incapacità di mettere in relazione teoria e pratica, e dunque di concepire un’idea di progresso simile alla nostra e, soprattutto, nella presenza di schiavi ben addestrati, veri e propri uomini-macchina affidabili e a buon mercato, le principali cause alla base dell’assenza di tecnologia. Inoltre, con gli studi di Alexander Koyré, uno dei massimi storici della filosofia e della scienza del secolo scorso, l’accento veniva posto sulla presunta mancanza di strumentazione scientifica e sull’incapacità degli antichi di effettuare calcoli complessi, due fattori essenziali per lo sviluppo di una società tecnologicamente avanzata. È su questi presupposti che ha potuto radicarsi la saldissima tesi della stagnazione tecnologica del mondo antico, destinata a lunga vita. Insomma, o gli schiavi o le macchine. Un netto cambiamento di prospettiva si è verificato a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, quando anche gli archeologi classici, seguendo l’esempio dei colleghi paleontologi e medievisti, cominciarono a prestare attenzione nei confronti della cosiddetta cultura materiale, prendendo in seria considerazione ritrovamenti tradizionalmente trascurati, come tutti i reperti inerenti la sfera lavorativa e i processi di trasformazione tanto della materia, quanto di alimenti e bevande. Così, dai depositi dei musei hanno cominciato a tornare alla luce strumenti di precisione e attrezzi agricoli, frammenti di macchine e di apparati meccanici che hanno svelato un aspetto del mondo antico rimasto a lungo nascosto: un aspetto in cui l’archeologia occupa un ruolo di primo piano, così come, per questo punto di vista, assumono una particolare rilevanza le città sepolte dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

Evento centrale per la cultura europea del XVIII secolo, la riscoperta di Ercolano e Pompei non segnava solo la nascita dell’archeologia in quanto scienza e disciplina, ma metteva a disposizione degli studiosi un’incredibile quantità di strumenti di uso quotidiano che rendeva ancora più sorprendente la visita alle due città. Trasferiti prevalentemente a Napoli, dove ancora oggi costituiscono una delle attrazioni del Museo Nazionale Archeologico, i reperti vennero ordinati per classi e catalogati. Con una felice intuizione dell’allora soprintendente archeologo Amedeo Maiuri, gli oggetti riferibili a strumenti e macchine vennero separati dagli altri e, all’inizio degli anni Trenta, fu inaugurata la nuova sezione della Tecnologia e meccanica antica: una vera miniera in cui si ritrovavano torchi vinari, macine olearie, apparati idraulici, ma anche strumenti per la misura di spazio, peso e volume, mezzi di lavorazione del terreno e perfino il calco della sfera celeste tra le mani della bellissima statua dell’Atlante Farnese. Autentico vanto del Museo napoletano, questa sala ebbe vita breve, a causa delle criticità strutturali insite all’ambiente che la ospitava, tanto da essere chiusa al pubblico e smantellata dopo soli due anni. A circa novanta anni da quell’allestimento, e grazie al notevole incremento di informazioni su questo tema, questi materiali possono ora tornare a vivere, celebrando la scienza e la tecnica degli antichi. Determinante è stato il contributo del Museo Galileo di Firenze per la diffusione di un’immagine dell’antichità più attenta alla tecnologia rispetto a quanto non emerga dai tradizionali allestimenti museali, rispetto ai quali, soprattutto per le fasi di ricostruzione dei macchinari, si è avvalso dell’impiego di tecnologie della comunicazione, in passato non disponibili.

Sempre le nuove tecnologie faranno da sfondo alle proiezioni su grandi schermi di animazioni 3D, che mostreranno i principi che governano il funzionamento delle macchine ricostruite, integrando i reperti archeologici con l’iconografia antica e le informazioni letterarie disponibili. I modelli in mostra copriranno ogni ambito delle attività umane: dall’astronomia all’agricoltura, dall’idraulica all’architettura, dai sistemi di misura alle tecniche per la propagazione del calore. In un’alternanza di linguaggi comunicativi, l’antico e il contemporaneo, il visitatore avrà modo di conoscere le macine in pietra lavica adoperate per produrre la farina, il torchio vinario rinvenuto nella Villa dei Misteri a Pompei, la pressa olearia con la fondamentale introduzione dell’albero a vite, macchine da cantiere e leve di prelievo dell’acqua. Dell’allestimento faranno parte anche reperti archeologici originali: affreschi con soggetto astronomico, strumenti di precisione (compassi, squadre, unità di misura e fili a piombo), grome degli agrimensori di Pompei (precursori del nostro teodolite), dispositivi facenti parti dell’avanzatissimo sistema di circolazione idrico e, infine, preziosissimi materiali organici direttamente riferibili alle attività agricole (semi, frutta carbonizzata, vegetali).

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