giovedì 12 dicembre 2013
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Lo si credeva uno scoglio insuperabile, ossia l’inizio della fine. Il digitale. Conversione forzata al formato entro il 31 dicembre, altrimenti nessun film da proiettare nel nuovo anno. Per le sale della comunità, quelle delle parrocchie italiane, una chiusura messa in preventivo. Ma i numeri dicono altro e all’estrema preoccupazione si è sostituito un pratico ottimismo. «Quello che conta è che alla fine il digitale metterà nella condizione di crescere dal punto di vista progettuale – dichiara convinto Francesco Giraldo, Segretario Generale dell’Acec, l’Associazione che riunisce tutti gli esercenti cattolici – perché le sale che hanno un progetto culturale alle spalle sono arrivate o arriveranno al digitale senza grossi problemi. Non si poteva più dilazionare questo appuntamento e molte parrocchie lo hanno capito: delle 1.000 sale della comunità, di cui 250 con attività sporadica e 750 con oltre 100 giorni di programmazione annuali, il 53% (il dato nazionale è ad oggi il 63%) è già transitato verso il digitale. Molte, come recentemente è avvenuto a Palestrina, altre sono state addirittura riaperte proprio grazie all’innovazione tecnologica. Comunque, si tratta di un passaggio non amministrativo, ma dettato dal mercato e quindi la data di fine anno è più immaginaria che concreta».La conversione obbliga ad investimenti considerevoli.Costa circa 50.000 euro, 80.000 se si sceglie il 3D. Le parrocchie hanno dimostrato creatività nella raccolta dei fondi necessari: autotassazioni e pesche di beneficenza. Esistono anche dei bandi per accedere a fondi speciali. E non è mancato il sostegno di alcune diocesi.Mettiamoci nei panni di chi gestisce le sale della comunità: cosa suggerisce?Di accettare la sfida. In questo senso il digitale ha scoperchiato, con la moltiplicazione dell’offerta, i nostri limiti anche culturali, nella capacità di affrontare la contemporaneità in modo diverso, perché l’autoreferenzialità non porta a nulla, è consolatoria, ma manca di appeal per i giovani. La parrocchia che si mette in un percorso culturale attraverso il cinema dovrebbe tentare di partire da strade che non sono così direttamente riconoscibili.L’Acec distribuisce per questo tre documentari molto diversi tra loro, offrendo percorsi inediti di riflessione. Acquisire il diritto theatrical di un film è un servizio squisitamente culturale e pastorale che noi facciamo alla parrocchie. Ci siamo resi conto che ci sono prodotti nuovi che vanno incontro alla sensibilità credente eppure non sono sempre esplicitati, in cui la proposta di un percorso di fede parte dalla sponda di chi non crede. I tre film raccontano la vita e l’esperienza amorosa senza nessun pregiudizio: protagonisti de L’ultima cima sono don Pablo Domínguez Prieto e tutta la gente da lui incontrata, che lo ricorda all’indomani della sua scomparsa avvenuta nel 2009 durante un’escursione in montagna; Con cuore puro è un affresco sul sentimento, come emerge dalle testimonianze dei giovani e di uomini di cultura che ne tentano un’interpretazione; Fedeli alla linea è dedicato alla poliedricità artistica di un personaggio come Giovanni Lindo Ferretti. 

Il criterio della scelta è quello dello stimolo e del confronto.Lo abbiamo fatto distribuendo Bella, I colori della Passione e L’amore inatteso, sempre con Microcinema, di cui l’Acec è tra i soci fondatori. Ci sono oggi sempre più film che toccano i temi della spiritualità e della fede e vanno individuati rispettando la sensibilità del nostro pubblico. Un consiglio rivolto ai parroci e gestori delle sale della comunità.Di investire assolutamente nel digitale, perché è una sfida che porterà la parrocchia e la pastorale a rinnovarsi sul versante della trasmissione della fede. Su questo sono idealista, ma anche molto drastico. I sacerdoti che hanno usato il cinema se ne sono accorti, le sale devono diventare sempre più punti di riferimento della loro progettazione pastorale. Insomma, riprendendo una immagine cara al cardinale Martini: la Bibbia su una mano e un film sull’altra

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