sabato 15 maggio 2021
Marinella Perroni e Ursicin Derungs rimettono in luce i temi, da sempre legati nel pensiero cristiano, della creazione e del male e che in questi tempi nuovi necessitano di una nuova ermeneutica
La creazione del mondo, battistero di Padova

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In un clima diffuso di ritorno a un intenso amore per la natura, che oggi chiamiamo sensibilità ecologica, esce un libro di teologia che si interroga sulla creazione e, in stretta relazione a essa, anche sul male: In principio (San Paolo, pagine 256, euro 22,00), di Ursicin G.G. Derungs e Marinella Perroni. Un argomento che, certamente, nella teologia dei Padri e in quella dei dottori della Scolastica medievale, consisteva in un tutt’uno – il trattato che, una volta, si chiamava De creatione et peccato – ma che oggi appare originale sulla scena editoriale pullulante di testi che esaltano e invitano alla stima e al rispetto della natura. Molta acqua è passata sotto i ponti, da Spinoza fino a Nietzsche: la Natura è diventata “divina” e si è finiti “al di là del bene e del male”, ancorché, rispetto a quest’ultimo, resti una ferita sempre aperta, rimangano le domande irrisolte del cur malum? e dell’unde malum?, non solo per la teodicea – ancor più caustiche dopo la “caligine” di Auschwitz – ma anche per le universe scienze che, pur potentissime in molti campi, non riescono a debellare il male.

Come confessano nel Prologo gli autori: «È cambiata la percezione del creato. L’immensità dell’universo, i suoi segreti, la sua bellezza, scoperta grazie alle scienze della fisica e dell’astrofisica, ci rammentano che in noi umani non c’è un solo atomo che non abbia la sua origine e la sua culla nell’immensità di un universo in fieri ». Un universo non perfetto in principio, dunque, ma in fieri, che si sviluppa secondo un processo. Pertanto: «Molte cose, per quanto riguarda gli approcci epistemologici e le loro ricadute sulle metodologie teologiche, ma anche nel clima generale dentro e fuori le aule delle Facoltà teologiche, sono cambiate». E questo è già un primo merito di quest’opera che, per l’appunto, è diversa da tante pubblicazioni idealmente entusiastiche sulla natura, nelle quali quest’ultima è data scontatamente per buona e bellissima. Capita per tutte le cose perdute. La campagna per la cura del pianeta che – grazie a Dio! – è stata lanciata da tanti Paesi del mondo e tra loro, recentemente riproposta anche da quelli che più contano sulla scena internazionale – come gli Stati Uniti e la Cina – sembra attestare uno sguardo che separa la natura dagli umani e vede quella come vittima di un comportamento di abuso – cioè di un “male” – che questi continuano a perpetrare contro di lei. I nostri teologi si pongono, rispetto a ciò, sulla scia della teologia cristiana tradizionale e prendono in esame la creazione – termine più preciso, dal punto di vista biblico, rispetto a “natura” – come luogo dove avviene anche il male.

Nella creazione c’è, infatti, anche l’umano. Ma questa non è che la prima ragione per cui meriti conoscere questo libro e riflettere sulla sua proposta, con gli occhi dei contemporanei. Come tutto ciò che onora veramente la memoria, il volume non solo riesce a introdurre vie ermeneutiche ancora poco battute ma anche a produrre prospettive e risultati nuovi, sul tema in questione. Essi sono chiaramente illustrati nella sintesi della parte introduttiva: «Siamo convinti che un ripensamento della teologia della creazione e del male divenuta tradizionale sia assolutamente indispensabile, visto l’attuale sfondo socio-religioso, quanto mai dinamico e ricco di suggestioni, caratterizzato da un nuovo modo di intendere la portata teologica dei testi biblici nonché dall’impulso critico che viene dal dialogo della teologia con tutte le scienze e dall’assunzione della prospettiva femminista e di genere». Ed ecco altri tre buoni motivi per leggere In principio. Il primo è la consapevolezza dell’urgenza che la teologia ripensi il tema della creazione e del male nell’attuale environment culturale.

Papa Francesco, con la Laudato si’, ha attuato un salto d’urto, ha spalancato una porta sulla questione ecologica che costringe, adesso, i teologi a elaborare un pensiero che allacci un filo tra il depositum della teologia e gli approcci attuali, in questo campo. Ed ecco, infatti, il secondo motivo: l’«impulso critico» che deriva alla teologia dal suo dialogo con «tutte le scienze». Non è cosa da poco. Gli autori hanno il coraggio di intonare l’ouverturecon una citazione di Albert Einstein che non usano per far confutazione ma per mostrare come le sue parole interpellino i teologi: «“Una collezione di venerabili ma ancora piuttosto primitive leggende”: le parole con cui Einstein descrive i racconti biblici di creazione». E proprio intorno al fatto che i racconti biblici di Genesi siano stati, nella tradizione, «ascritti all’ordine dei fatti storici», inizia la discussione degli autori, i quali ricordano come «già da tempo la critica biblica aveva messo in chiaro il carattere mitico e il conseguente valore teologico dei racconti di creazione che aprono il libro della Genesi», lamentando, però, come «il contributo di esegeti e teologi, quando si presenta come pensiero critico, fa una gran fatica non solo a diventare patrimonio comune delle chiese, ma anche a entrare nel dibattito culturale laico». Una denuncia urgente per la Chiesa cattolica che è, peraltro, oggi, guidata da un pontefice che con le sue parole e i suoi scritti mostra una leale, decisa apertura alle istanze culturali della nostra epoca cui – dicono gli autori – proprio la scienza biblica, tra le diverse scienze teologiche, «si è aperta per prima e decisamente », fiduciosa altresì «che nel dedalo dei fatti, il principio della fede non andrà perduto».

Last but not least tra le novità di approccio ermeneutico si trova, in quest’opera – che viene pubblicata in Exousia, una collana la cui tipicità è quella della rilettura di genere – non solo la paternità maschile e femminile ma anche un esito inedito, in tal senso. Senza dimenticare l’importanza dell’approccio di genere, essa giunge, infatti, nella seconda parte, alla trasparenza dell’«irrilevanza» di quest’ultimo e, senza operare «esclusioni né deformazioni», consente al lettore di poter riconoscere, alla fine «un discorso unitario, costruttivo, stimolante». Non per nulla i due autori, in corso d’opera, si son voluti simpaticamente chiamare Ping e Pong, perché, rivelano: «Se l’universo sembra essere cominciato con un Big Bang, questo libro, molto più modestamente, è cominciato con un ping pong». Del resto anche il Dio creatore e Signore, nel libro dei Proverbi (cf 8,22-31), non fece il mondo da solo ma insieme alla Signora Sapienza.

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