martedì 16 settembre 2014
A colloquio con la vincitrice del Campiello 2007. «C’è una rivalutazione un po’ mitica ed edulcorata della civiltà del tufo, però dobbiamo stare attenti a non farci snaturare o appiattire»
COMMENTA E CONDIVIDI

Ha davanti agli occhi i “suoi” Sassi, Mariolina Venezia. E, quando le si chiede di parlarne, dice subito: «Consideriamoli pure un luogo di grandi utopie ma non della nostalgia». A Matera, dove è nata, la scrittrice ha ambientato il giallo noir Come piante tra i sassi. E affidandosi a una saga familiare ha raccontato 130 anni di storia italiana visti da questa provincia di estrema periferia nel romanzo Mille anni che sto qui con cui ha vinto il premio Campiello nel 2007.

«Ecco – spiega Mariolina Venezia – gli anni Ottanta hanno alimentato il sogno di tornare a vivere nel nucleo storico di Matera. Passata l’onda lunga dell’abbandono forzato, se ne è riscoperto il fascino. Però tutto ciò non va confuso con la nostalgia che nasce quando si perde il ricordo. Della vita fra i Sassi si ha ancora una memoria chiara. E quindi non nostalgia. Perché quella era una società segnata dalla durezza, dall’alta mortalità infantile, dalle privazioni. Chi ha attraversato quella civiltà non può che affrancarsene. Perciò dico che siamo di fronte a un mito nostalgico che si è affermato negli ultimi tempi e che deriva da uno sguardo edulcorato e parziale».

Nelle ultime pagine di Mille anni che sto qui una delle donne protagoniste osserva la sua terra dal finestrino di un treno. Sembra un omaggio alla conclusione di Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi. «Mi sono rapportata a questo angolo d’Italia con la mia sensibilità – avverte la scrittrice –. Con Levi non ho rapporto né positivo, né controverso. Trovo interessante il suo punto di vista che non è sicuramente il mio. Può darsi che l’opera di Levi possa suscitare perplessità in chi vive a Matera ed essere letta come un attacco alla propria immagine. Ma è quasi fisiologico che ciò avvenga quando si è narrati da un “esterno” il quale coglie elementi e dettagli non percepiti da chi appartiene a un determinato luogo».

Nelle opere di Mariolina Venezia l’ambiente gioca un ruolo chiave. «Il nostro è un paesaggio che non è stato deturpato, dove ci sono ancora grandi vuoti mentre siamo nell’era del tutto riempito. Non solo. In Come piante tra i sassi sottolineo anche che la Basilicata è la regione del silenzio e che le sue pietre sembrano fatte di silenzio. Un silenzio che, però, pian piano si sta perdendo». Come delineare, allora, i tratti del “suo” popolo? «I materani – prosegue la scrittrice – sono tradizionalmente molto legati alla loro terra e fieri di quello che sta avvenendo». Ossia del riscatto da un passato di vergogna. «Comunque non credo alle favole che finiscono con “E tutti vissero felici e contenti”. La valorizzazione turistica dei Sassi è un fatto significativo, ma dovremo vedere dove porterà. In fondo il turismo è di per sé una sorta di snaturamento e di forzatura».

Come nei suoi romanzi tornano i toni critici sulle trasformazioni che hanno investito la Basilicata. «A Matera – afferma Mariolina Venezia – succede quanto avviene in molte parti del mondo. Le asperità si smussano. Ciò che un tempo era considerato con disonore diventa un fattore di attrazione che però produce anche appiattimento». Eppure questa è la città del fallimento della riforma agraria, dell’industrializzazione che mina la comunità, dell’emigrazione al Nord. «Molti paesi del Sud, come Matera, non hanno avuto un’evoluzione armonica. La loro storia è fatta anche di gravi fratture, persino di deportazioni. Sono esperienze che incidono sull’identità collettiva».

Adesso la città guarda all’Europa. «L’importante è che il titolo di Capitale della cultura non si riduca a una vetrina. Perché ormai la cultura è spesso basata sull’immagine e sulla comunicazione, più che sui contenuti e sul legame con un territorio». Ma il continente può ripartire dal Sud? «Oggi il Mezzogiorno è in grado di proporre modelli di sviluppo e stile di vita che si riallacciano alle radici più profonde dell’Europa. Del resto non dobbiamo dimenticarci che la cultura europea nasce proprio al Sud».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: