martedì 11 marzo 2014
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C’è un fil rouge che lega Fran­cesco d’Assisi a Giorgio La Pira, rendendo attuale e mo­derna la figura del siciliano sindaco di Firenze nato 110 anni fa a Pozzallo. È l’atten­zione alle «attese della po­vera gente», agli emarginati, ai senza lavoro e a tutte quelle persone che per La Pira prima di o­gni cosa erano importanti agli occhi di Dio. Sulla «via di Damasco», allo stesso modo di san Paolo e del Poverello di Assisi, La Pira cadde nel 1924. Un anno che lui stesso ricordò come la sua Pasqua di conversione. «Giorgio La Pira può es­sere considerato a buon diritto una sorta di san Francesco del Novecento per via della sua te­stimonianza cristiana di una libertà spirituale inaudita – spiega il filosofo Carmelo Vigna, do­cente emerito all’Università Ca’ Foscari di Ve­nezia e direttore del Cise, il Centro interuniver­sitario per gli studi sull’etica –. Egli non pre­scrive regole istituzionali, né pratiche partico­lari, né vocazioni specifiche. Non privilegia nes­sun luogo sacro, nessun convento, nessuna confraternita, nessuna umana eredità da cu­stodire gelosamente, nessuna propria dottrina. Solo coltiva la vocazione a voler bene a tutti gli uomini nella forma più radicale e più univer­sale, cioè senza discriminazioni di alcun tipo. Egli desidera che tutte le religioni convengano nel nome della pace. Proprio come Francesco. Per lui, come per Francesco, ogni posto è Ge­rusalemme, ogni uomo è nostro fratello». Quella stessa Gerusalemme che Papa France­sco, ricordando ai fedeli le parole del profeta I­saia durante l’omelia del 6 gennaio scorso in occasione della solennità dell’Epifania, ha in­dicato «come città della luce, che riflette sul mondo la luce di Dio e aiuta gli uomini a cam­minare nelle sue vie». La Pira, così come Fran­cesco d’Assisi, seppur in periodi storici diffe­renti ma non meno lacerati da guerre, pesti- lenze, problemi economici e sociali, sperimen­ta l’esperienza di prossimità e di carità entran­do in empatia con il prossimo. Si pensi all’isti­tuzione della messa di San Procolo per i pove­ri e poi alla Badia. «Per lui siamo nel tempo in cui Dio deve esse­re adorato solo in spirito e verità (Gv 4, 23) – ag­giunge Vigna –. Quest’uomo straordinario nel Novecento era già glocale, cioè globale e loca­le. Le strane indicazioni che egli dava e che pa­revano farneticazioni di un esaltato, oggi sem­brano molto meno strane. Oggi la storia del mondo ha già posto all’ordine del giorno della politica quell’universalità umana che La Pira vedeva da lontano e che credeva prossima – sot­tolinea Vigna –. Come tutti i profeti, non bada­va alla scansione lenta del tempo. Anticipava con la visione ciò che prima o poi sarebbe ne­cessariamente accaduto. Questo cattolico sici­liano (così egli si presentò a Ho Chi Minh) dev’essere forse ancora capito. Il tempo pare fi­nalmente propizio. Grazie a Papa Francesco». Sul francescanesimo di La Pira lo storico Mas­simo De Giuseppe, docente allo Iulm di Mila­no, dice: «Indubbiamente la dimensione fran­cescana si ritrova in La Pira esplicitata a più li­velli, però così inestricabilmente e coerente­mente intrecciati tra loro da costituire una pro­spettiva fortemente unitaria – spiega De Giu­seppe –. C’è naturalmente La Pira terziario fran­cescano, frutto di una scelta coraggiosa di un giovane siciliano, emigrante accademico, di non farsi travolgere dal mondo dell’erudizione fine a se stessa ma di costruire un dialogo vitale tra il diritto romano, la storia e la filosofia da un la­to, l’impegno sociale e l’incontro con i poveri dall’altro». «Da qui deriva la sua passione per la costruzione di una casa comune che nella sfera giuridica, econo­mica e politica sappia riflettere i segni di un corpo sociale aperto e solidale, fon­dato su una caritas strutturale e non compas­sionevole: un progetto che nella città del dia­logo tra centro e periferie, sospesa tra locale e globale, ricerca un’attuazione ideale». «C’è poi la dimensione francescana dell’incul­turazione, la stessa che aveva animato nell’età moderna personaggi come fray Toribio de Be­navente Motolinía, uno dei primi fautori del dialogo con la cultura indigena nel 'nuovo mondo', influendo sulla genesi del pensiero giusnaturalista e sulla storia dei diritti umani». Di qui, prosegue lo storico De Giuseppe, «la sco­perta dell’altro, il rispetto per il diverso, la ne­cessità di mettersi sempre in gioco, di costrui­re occasioni di dialogo, forti della propria fede ma rigettando qualsiasi forma di razzismo e set­tarismo, anche quelle più sottili e impalpabili». «Infine c’è il La Pira globale che, sulle orme del viaggio di Francesco dal sultano, rigetta la cro­ciata in armi e cerca le tracce del sentiero di I­saia nascoste dalla sabbia e dal tempo, dise­gnando un originale e creativo cammino di pa­ce ». Un percorso da costruire nel quotidiano ma anche «aiutando l’aurora a nascere», come amava dire il professore «intessendo reti, rein­ventando forme di diplomazia e – aggiunge De Giuseppe – costruendo ponti in grado di supe­rare le barriere politiche, diplomatiche, religio­se e ideologiche. Un piccolo uomo alla ricerca della 'qualità' della pace, come unità e spe­ranza dei popoli». ©

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