C’è un fil rouge che lega Francesco d’Assisi a Giorgio La Pira, rendendo attuale e moderna la figura del siciliano sindaco di Firenze nato 110 anni fa a Pozzallo. È l’attenzione alle «attese della povera gente», agli emarginati, ai senza lavoro e a tutte quelle persone che per La Pira prima di ogni cosa erano importanti agli occhi di Dio. Sulla «via di Damasco», allo stesso modo di san Paolo e del Poverello di Assisi, La Pira cadde nel 1924. Un anno che lui stesso ricordò come la sua Pasqua di conversione. «Giorgio La Pira può essere considerato a buon diritto una sorta di san Francesco del Novecento per via della sua testimonianza cristiana di una libertà spirituale inaudita – spiega il filosofo Carmelo Vigna, docente emerito all’Università Ca’ Foscari di Venezia e direttore del Cise, il Centro interuniversitario per gli studi sull’etica –. Egli non prescrive regole istituzionali, né pratiche particolari, né vocazioni specifiche. Non privilegia nessun luogo sacro, nessun convento, nessuna confraternita, nessuna umana eredità da custodire gelosamente, nessuna propria dottrina. Solo coltiva la vocazione a voler bene a tutti gli uomini nella forma più radicale e più universale, cioè senza discriminazioni di alcun tipo. Egli desidera che tutte le religioni convengano nel nome della pace. Proprio come Francesco. Per lui, come per Francesco, ogni posto è Gerusalemme, ogni uomo è nostro fratello». Quella stessa Gerusalemme che Papa Francesco, ricordando ai fedeli le parole del profeta Isaia durante l’omelia del 6 gennaio scorso in occasione della solennità dell’Epifania, ha indicato «come città della luce, che riflette sul mondo la luce di Dio e aiuta gli uomini a camminare nelle sue vie». La Pira, così come Francesco d’Assisi, seppur in periodi storici differenti ma non meno lacerati da guerre, pesti- lenze, problemi economici e sociali, sperimenta l’esperienza di prossimità e di carità entrando in empatia con il prossimo. Si pensi all’istituzione della messa di San Procolo per i poveri e poi alla Badia. «Per lui siamo nel tempo in cui Dio deve essere adorato solo in spirito e verità (Gv 4, 23) – aggiunge Vigna –. Quest’uomo straordinario nel Novecento era già glocale, cioè globale e locale. Le strane indicazioni che egli dava e che parevano farneticazioni di un esaltato, oggi sembrano molto meno strane. Oggi la storia del mondo ha già posto all’ordine del giorno della politica quell’universalità umana che La Pira vedeva da lontano e che credeva prossima – sottolinea Vigna –. Come tutti i profeti, non badava alla scansione lenta del tempo. Anticipava con la visione ciò che prima o poi sarebbe necessariamente accaduto. Questo cattolico siciliano (così egli si presentò a Ho Chi Minh) dev’essere forse ancora capito. Il tempo pare finalmente propizio. Grazie a Papa Francesco». Sul francescanesimo di La Pira lo storico Massimo De Giuseppe, docente allo Iulm di Milano, dice: «Indubbiamente la dimensione francescana si ritrova in La Pira esplicitata a più livelli, però così inestricabilmente e coerentemente intrecciati tra loro da costituire una prospettiva fortemente unitaria – spiega De Giuseppe –. C’è naturalmente La Pira terziario francescano, frutto di una scelta coraggiosa di un giovane siciliano, emigrante accademico, di non farsi travolgere dal mondo dell’erudizione fine a se stessa ma di costruire un dialogo vitale tra il diritto romano, la storia e la filosofia da un lato, l’impegno sociale e l’incontro con i poveri dall’altro». «Da qui deriva la sua passione per la costruzione di una casa comune che nella sfera giuridica, economica e politica sappia riflettere i segni di un corpo sociale aperto e solidale, fondato su una caritas strutturale e non compassionevole: un progetto che nella città del dialogo tra centro e periferie, sospesa tra locale e globale, ricerca un’attuazione ideale». «C’è poi la dimensione francescana dell’inculturazione, la stessa che aveva animato nell’età moderna personaggi come fray Toribio de Benavente Motolinía, uno dei primi fautori del dialogo con la cultura indigena nel 'nuovo mondo', influendo sulla genesi del pensiero giusnaturalista e sulla storia dei diritti umani». Di qui, prosegue lo storico De Giuseppe, «la scoperta dell’altro, il rispetto per il diverso, la necessità di mettersi sempre in gioco, di costruire occasioni di dialogo, forti della propria fede ma rigettando qualsiasi forma di razzismo e settarismo, anche quelle più sottili e impalpabili». «Infine c’è il La Pira globale che, sulle orme del viaggio di Francesco dal sultano, rigetta la crociata in armi e cerca le tracce del sentiero di Isaia nascoste dalla sabbia e dal tempo, disegnando un originale e creativo cammino di pace ». Un percorso da costruire nel quotidiano ma anche «aiutando l’aurora a nascere», come amava dire il professore «intessendo reti, reinventando forme di diplomazia e – aggiunge De Giuseppe – costruendo ponti in grado di superare le barriere politiche, diplomatiche, religiose e ideologiche. Un piccolo uomo alla ricerca della 'qualità' della pace, come unità e speranza dei popoli». ©
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