sabato 14 marzo 2015
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Vergate su tre quaderni e diversi fogli sciolti, le Memorie riservate di Tommaso Gallarati Scotti. 1943-1946, come reca la scritta sulla custodia dove sono conservate nell’archivio di famiglia a Milano, arrivano per la prima volta al grande pubblico nella loro completezza, dopo la fugace apparizione nel 2009 (l’edizione fu macerata appena uscita per i diversi errori che conteneva). A introdurre, con un denso saggio, questa che è di fatto la prima vera edizione del diario dello scrittore e diplomatico - esponente di un’illustre famiglia nobile lombarda, nonché del cattolicesimo italiano della prima metà del ’900 - è lo storico Alfredo Canavero, curatore di questo volume (Franco Angeli, pp. 224 euro 26). Si comincia quando Gallarati Scotti, a causa del suo «antifascismo patriottico», fu costretto all’espatrio clandestino in Svizzera, e si conclude con la fine della sua esperienza come ambasciatore a Londra dopo quella a Madrid: un periodo indagato anche nel recente Tommaso Gallarati Scotti tra totalitarismo fascista e ripresa della vita democratica curato da Luciano Pazzaglia e Claudia Cravenna (Cisalpino, pp. 263, s.i.p.). Espostosi in modo evidente e ricercato dalla polizia dopo la nascita della Repubblica sociale italiana, per evitare l’arresto Gallarati Scotti la sera del 22 dicembre ’43, con l’aiuto di un contrabbandiere, passa in Svizzera, con la «tristezza di uscire d’Italia strisciando come un ladro, dopo aver servito per anni il proprio Paese». Ammesso come profugo politico, dopo diversi interrogatori e grazie all’intervento del vescovo di Lugano Angelo Jelmini, trascorso il Natale nella Clinica Moncucco («Mai fatta una vigilia più religiosa come questa da Israele errante», annota sul diario) e subito ripresi i colloqui politici interrotti a Milano, iniziano per lui quei cinque mesi di esilio in Svizzera che, scriverà, «se non sono stati i più felici della mia vita, sono tra i migliori per il mio spirito poiché sento di aver sofferto le avversità con animo forte e sereno, di non aver piegato per debolezza». Oltralpe Gallarati Scotti continua a lavorare per le sorti dell’Italia tenendo i contatti con altri esuli e collaborando a varie iniziative (come il foglio settimanale d’ispirazione einaudiana L’Italia e il suo secondo Risorgimento. La nuova Italia, era il pensiero del duca, avrebbe dovuto rimediare ai guasti prodotti dal Ventennio unendo tutte le forze antifasciste «per ricostruire insieme una civiltà e per non dannarci nell’inferno caotico dell’odio», anche se restava diffidente nei confronti dei comunisti per il timore di un loro colpo di mano in Lombardia tra il ritiro dei tedeschi e l’arrivo degli alleati. Dopo una conversazione con Concetto Marchesi, scrive di avere «sempre il dubbio di un gioco abilissimo dei comunisti che preparino segretamente la rivoluzione sotto le apparenze del buon senso e della perfetta correttezza».Poi il 10 luglio 1944 la sua vita cambia. Viene raggiunto da una comunicazione di monsignor Bernardini, nunzio nella capitale elvetica che gli comunica l’offerta, inaspettata, di recarsi in Spagna come ambasciatore. Il 16 luglio «dopo un lungo dibattito interiore» spedisce a Giovanni Visconti Venosta la sua accettazione: «Non potrei rifiutare in quest’ora grave di servire l’Italia». Decisione non facile: «Si tratta di un mutamento radicale di tutta la mia vita» (così il 13 luglio sul diario). Rientrato in Italia, volando da Lione alla Roma liberata, col Nord del Paese ancora la guerra, nella capitale ha numerosi incontri compreso quello graditissimo con Pio XII. «Ho l’impressione di essermi trovato di fronte a un grande Papa che ha scritto e scrive una delle grandi pagine di storia della Chiesa»., scrive sul diario il 23 dicembre ’44. Il 30 gennaio s’imbarca a Napoli per Gibilterra (dopo aver visto Benedetto Croce). Tutto questo mentre la sinistra italiana, allarmata, protesta per una nomina che rappresenta un punto a favore degli antifascisti moderati e allenta l’isolamento internazionale della Spagna di Franco. Non pochi i motivi economici e commerciali ad aver imposto questa scelta al governo Bonomi preoccupato dei cospicui interessi italiani e dei crediti messi a rischio da un’eventuale rottura delle relazioni diplomatiche tra Roma e Madrid. In ogni caso in Spagna l’aristocratico e colto neoambasciatore dimostra prova di equilibrio puntando molto anche sul suo profilo culturale, nonostante le amarezze dell’«intermezzo italiano», cioè il rientro in patria per il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 e l’elezione dell’Assemblea 28 giugno 46. A tale proposito, commentando i fatti con Alessandro Casati, Gallarati Scotti parla di «miserevole nascita della Repubblica che sembra non persuadere nessuno». Un giudizio quantomeno discutibile, come quello attendista circa la fine del franchismo per usura dall’interno e isolamento economico, un fatto a suo parere più rapido del prevedibile, come scrive nella relazione con cui termina l’esperienza di ambasciatore a Madrid per riprenderla a Londra. Dopo un’interruzione del diario che dal congedo spagnolo, si prolunga per nove mesi, fino alla fine di settembre del 1947, ecco dunque il nobile milanese invitato a Roma dal ministro degli esteri Carlo Sforza, che gli propone la carica di ambasciatore alla Corte di San Giacomo. A Londra Gallarati Scotti contribuisce al riavvicinamento tra Italia e Gran Bretagna, dopo un inizio non facile anche per l’incertezza nutrita dagli inglesi sul futuro assetto interno dell’Italia alla vigilia delle elezioni del 18 aprile ’48. Come fa capire Gallarati Scotti i responsabili della politica inglese non erano sicuri che il responso delle urne avrebbe favorito i partiti filo-occidentali. Dalla consultazione elettorale poteva emergere un’Italia neutralista o, peggio, filo-sovietica. In ogni caso anche in Inghilterra il duca diplomatico rilancia il nostro Paese nei rapporti internazionali e registra tappe importanti: «Si apre – scrive nel diario il 28 marzo 1949 – la conferenza per il Consiglio d’Europa. È una data memorabile. Per la prima volta alla vigilia della firma del Patto Atlantico l’Italia si siede da pari a pari alla tavola di una conferenza con rappresentanti di altre nove potenze europee […]. Penso con commozione alle difficoltà superate per giungere a questo punto...». L’ambasciatore italiano a Londra era pienamente consapevole dell’importanza della sua azione nelle trattative per il Patto Atlantico e il Consiglio d’Europa. Poi è il tempo del passaggio dall’apogeo alla caduta: un contrasto con la politica di De Gasperi sul problema di Trieste lo induce infatti a dimettersi alla fine del 1951. «La nostra posizione di democratici presa fra due fuochi, è abbastanza pericolosa senza che vi si aggiunga anche l’incomprensione e l’impazienza degli amici», così  De Gasperi a Gallarati Scotti. La missione londinese era durata quattro anni, durante i quali aveva dato un decisivo contributo al ristabilimento di cordiali rapporti tra Italia e Gran Bretagna. Quali erano stati nel Risorgimento. Non a caso uno dei suoi ultimi atti ufficiali fu l’inaugurazione di una mostra da lui voluta su questo tema. Era infatti in quell’epoca, secondo il nostro ambasciatore, che si dovevano ricercare le radici dell’amicizia ora ripristinata fra i due popoli.
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