mercoledì 5 maggio 2010
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«Egli era per me, ed io per lui, come l’altra parte di noi stessi, l’amico a cui si poteva parlare come ad un alter ego, con una comunicazione totale». Sono tanti ma tutti nitidi e ben collocati nel tempo i ricordi, le impressioni, le lunghe chiacchierate sulla mistica, la politica, la spiritualità che tornano alla mente – nello studio della sua abitazione fiorentina, affollato di libri e di una bell’immagine di Girolamo Savonarola – del medievista Claudio Leonardi nel rievocare l’amicizia, durata quasi 60 anni, con don Gianni Baget Bozzo. A un anno dalla morte (avvenuta l’8 maggio del 2009) del suo amico tornano alla mente le sue grandi battaglie culturali, dalla fedele collaborazione con il cardinale Giuseppe Siri, soprattutto con la rivista Renovatio, al tentativo di interpretare correttamente il Concilio, al suo anticomunismo «tutt’altro che viscerale». «In tutto questo c’è la sua coerenza di uomo e di credente – rivela il professore Leonardi – più di quanto si creda. Lui in fondo è sempre stato il più "degasperiano dei dossettiani". E rileggendo il suo Novecento si intuisce che il suo anticomunismo non è affatto viscerale ma ragionato. E in fondo tutta la vita e l’impegno di Baget lo si può leggere come il contraltare della vita di Dossetti. In fondo don Gianni è sempre stato un uomo socievole e di dialogo ma attento a difendere la sua idea di verità. Il suo temperamento era un po’ simile al crocifisso di Santiago di Compostela che portava all’occhiello della sua giacca: un crocifisso che si trasforma in lancia, una spada della verità, quasi egli si sentisse un novello San Paolo».Come nacque la sua amicizia con Baget Bozzo?«La nostra amicizia risale al 1950 e fu lui a introdurmi a Roma presso la Chiesa Nuova dei padri filippini al circolo frequentato dai cosiddetti "professorini" Dossetti, La Pira, Fanfani, Lazzati e La Pira. Fu lui a farmi conoscere, per primo, la mistica e a farne la ragione della mia vita di studioso. Lo spunto fu il libro di Divo Barsotti Il mistero dell’anno liturgico. In quel testo c’è l’essenza del pensiero bagetiano dove "la fede in Cristo deve sperimentare Cristo per essere vera fede"».Si parla spesso del Baget teologo e politico ma pochi conoscono la sua vera passione di studioso: la mistica, appunto «Don Gianni ha avuto una profonda vita mistica, fatta, credo, soprattutto di locuzioni, e ha lasciato una serie di quaderni dove per anni ha registrato i colloqui con Dio. Tutto questo lo si evince da testi come Homo Dei, Vocazione e Dio creò Dio. I suoi modelli di riferimento sono stati Meister Eckhart, Caterina da Genova e l’amatissima Teresina di Lisieux. È stato un uomo che si sentiva guidato da Dio. Bastava sentire le sue prediche a Messa per accorgersene. Era, a mio giudizio, un uomo pieno di Dio».Riflettendo su questo sacerdote consigliere di politici si pensa a un uomo influente nelle dinamiche dei Palazzi del potere. Baget Bozzo è stato veramente un uomo potente?«Tutt’altro. A volte si rammaricava di essere usato. Pur essendo seguitissimo per le sue analisi politiche sui giornali. I suoi articoli hanno sempre avuto il pregio di vedere in prospettiva il futuro di questo Paese. Una qualità che io definirei profetica. Eppure mi confidava: "Vedi io faccio questi appunti per Berlusconi ma poi lui segue il pensiero di altri". Io stesso con lui mi facevo promotore di studi e ricerche sul Medioevo e la mistica, ma il mondo della politica non ci ha mai aiutato nelle cose che veramente stavano a cuore anche a don Baget Bozzo. Testimonianza di tutto questo sono stati i suoi funerali che hanno visto soprattutto la partecipazione dei suoi più stretti amici, anche politici e dei suoi parrocchiani. Non certo dell’Italia che conta».Quanto dei suoi scritti e insegnamenti possono rappresentare un patrimonio per le generazioni future?«Credo che il suo grande lascito sia stato nel credere a una sana laicità dello Stato, in senso degasperiano. Ha sempre difeso questo principio, lui prete e antistatalista, dalle ingerenze clericali. Sulla scia degli insegnamenti di San Tommaso e di Felice Balbo è sempre stato convinto "che gli Stati non si dirigono con la fede ma si dirigono con la ragione e le consuetudini storiche". Ogni sua azione politica è stata vissuta come se lui si sentisse "posseduto" da un compito profetico».E a lei don Baget cosa ha lasciato?«A me personalmente ha lasciato la sua biblioteca. Mi piacerebbe ora pubblicare il carteggio inedito degli anni 1966-67 intercorso tra me e lui. Don Gianni mi ha insegnato soprattutto che un cristiano deve "trapassare la fede cristiana nell’esperienza di Dio". Credo che la lezione di vita a cui ha sempre fatto più riferimento, e che amava spesso ripetermi, si trova nella massima di Ireneo di Lione: "Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio". In questo c’è tutto il don Baget che più ho amato e di cui avverto oggi una grande nostalgia».
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