venerdì 7 marzo 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Nel 1989 Elliott Carter, uno dei massimi compositori americani, ricevette una telefonata da Phil Lesh, il bassista dei Grateful Dead. Carter non aveva la più pallida idea di chi o cosa fossero i Grateful Dead, ma quando lui e Lesh si incontrarono qualche mese dopo, il bassista portò una pila di musiche di Carter, che conosceva nota per nota.Una delle zavorre storiche della musica "colta" è stata la pretesa di custodire il segreto dell’arte, che la innalzava sopra la mediocrità delle canzonette mercantili, ma che nel frattempo divoravano praterie di pubblico. Non si accorgeva che figure come Dylan e Beatles, Zeppelin e Zappa avevano eroso fino ad azzerare il gradino tra musica "leggera" e "forte". Le conseguenze si scontano ancora. Ma ci sono segnali di cambiamento. Al «varcare il confine tra la classica e il pop» Alex Ross (autore de Il resto è rumore, libro fondamentale sulla musica colta del Novecento) ha dedicato il volume Senti questo. Il padre del minimalismo Steve Reich nel 2012 ha scritto Radio Rewrite, brano che rielabora due canzoni dei Radiohead. E in questi giorni Deutsche Grammophon pubblica un disco con composizioni per orchestra di Bryce Dessner (1976) e Jonny Greenwood (1971), chitarristi di due band di fama planetaria: il primo dei The National, gruppo indie rock americano, il secondo dei Radiohead, il gruppo più innovativo degli ultimi quindici anni. Non si tratta di musiche pop camuffate con archi e fiati, ma di brani dove linguaggio e struttura sono propri della classica contemporanea. Dessner, con un master in composizione a Yale, in St. Carolyne by the Sea (ispirato a Big Sur di Kerouac), Lachrimae (un omaggio a Dowland e Britten) e Raphael fonde abilmente minimalismo e Morton Feldman. L’amore di Greenwood (passato da violista e un disco all’attivo in coppia con Penderecki) per le avanguardie europee degli anni ’60 e ’70 è evidente nella suite dalle musiche per il film Il petroliere.«Io sono sempre un musicista, ma che parla lingue differenti» spiega Dessner da Parigi, dove porta in questi giorni una coreografia sulle sue Murder Ballads. «I miei studi sono classici ma suono in una band da anni. È un’esperienza propria della mia generazione, la musica rock è davvero la musica del nostro tempo. Ma in realtà la musica in sé arriva dallo stesso posto al mio interno. Quello che cambia è come viene sviluppata: attraverso l’improvvisazione nel rock, con una meticolosa applicazione progettuale nella composizione.È il processo a far sì che la musica sia così diversa. Nella musica classica si lavora sulla partitura come alla costruzione di un edificio. Nel rock si lavora in gruppo, si procede "a orecchio" e spesso l’idea migliore è la prima. Qui la creazione è più energetica, nella classica è più di tipo poetico». Dessner, che nel novembre scorso ha esordito in disco come compositore con il Kronos Quartet, vuole essere chiaro: «Io non mi sento un musicista rock che fa musica classica. Ma ciò che mi affascina è proprio l’esplorare diverse strutture formali di comunicazione».È dunque una nuova generazione di musicisti "anfibi", a suo agio nella forma canzone come nelle strutture più complesse. Senza il tabù della coerenza. In effetti c’è molta distanza tra le song raffinate e solide, basate sul binomio voce-chitarra, dei The National e questi brani orchestrali. Anche le prospettive restano diverse: «Non ti chiedi se questo disco venderà bene nella prima settimana e sai che questa musica in concerto non attirerà migliaia di persone. Mentre i The National sono visti come una rockband "senior", nella musica classica a trentasette anni sono ancora un bambino. Dopotutto, un bel cambiamento».
André de Ridder/Copenhagen PhilBryce Dessner / Jonny GreenwoodDeutsche Grammophon. Euro 19,90
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: