sabato 2 aprile 2016
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DALL’INVIATO AVENEZIA Nato a Tel Aviv nel 1961 e trasferitosi a Vienna da bambino con la famiglia, Doron Rabinovici è a tutti gli effetti uno autore austriaco. Molto presente anche nel dibattito pubblico, è autore di romanzi come Alla ricerca di M. e Altrove (pubblicati nel nostro Paese da Giuntina), per i quali la critica ha speso volentieri il nome di Robert Musil. «Sì, è un riferimento inevitabile» ammette Rabinovici, a Venezia per partecipare agli incontri di Incroci di civiltà. Subito dopo, a ribadire la complessità del fare letteratura oggi, precisa che tra i suoi modelli figurano gli americani Philip Roth e Harold Brodkey, oltre al praghese Franz Kafka. Ebrei non osservanti, ma comunque rappresentativi dell’eccezione che, secondo Rabinovici, l’ebraismo non smette di costituire. «È come se fossimo sempre nel posto sbagliato – spiega –. Prima quello che ci mancava era una terra, adesso siamo accusati di eccessivo attaccamento a quella stessa terra che ci faceva difetto. In un modo o nell’altro, gli ebrei continuano a essere il primo popolo postnazionale della storia». Si tratta, una volta di più, di una questione relativa alla memoria, tema ricorrente nella vasta produzione narrativa e saggistica di Rabinovici: «Nessun ricordo ci viene consegnato intatto dal passato – sottolinea –, tutto si inserisce in un processo più sfumato, che chiama in causa la nostra volontà. La memoria è sempre una decisione politica». Il meccanismo è simile a quello che, secondo lo scrittore, si è innescato con l’arrivo dei profughi in Austria e nel resto dell’Europa centrale: «A dispetto di quanto ci si ostini a temere, queste persone non ci sottraggono spazio né lavoro. Qualcosa però ci portano via, ed è l’illusione di avere la coscienza a posto. Dopo averli guardati in faccia, non possiamo più dire di non sapere, di non essere al corrente. L’Europa ha già fallito una volta, quando ha distolto lo sguardo dalla persecuzione nazista contro gli ebrei. Ora rischia di fallire nuovamente se non riesce a riconoscere che il profugo è, per definizione, colui che ci viene affidato affinché ce ne prendiamo cura». Rabinovici (che ha più volte denunciato il ruolo svolto dall’Austria all’epoca della Shoah) ammette di essere preoccupato per la situazione attuale: «Il rischio – avverte – è che a Vienna vengano a incrociarsi due diverse forme di populismo reazionario, quella tradizionale dell’Est europeo e quella, più recente, di matrice occidentale. Non sto sostenendo che il razzismo sia un problema esclusivamente austriaco. Anzi, nei mesi scorsi abbiamo assistito a iniziative sorprendenti sul fronte dell’accoglienza. Un moto di solidarietà che ora purtroppo rischia di affievolirsi e di capovolgersi in un risentimento. Forse dovremmo ricordare a noi stessi che i profughi non sono buoni né cattivi. Sono esseri umani in lotta per la vita, e questo dovrebbe essere sufficiente per andare loro incontro». Alessandro Zaccuri © RIPRODUZIONE RISERVATA «In Austria si rischia un’alleanza tra vecchi e nuovi populismi» D. Rabinovici (G. Boato)
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