sabato 30 aprile 2016
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«In ogni paese in cui ho viaggiato, ho usato la macchina fotografica come un’estensione della memoria. In seguito, ho scoperto che le immagini che avevo catturato erano qualcosa di più di foto turistiche, e al contempo, qualcosa di meno». Teju Cole è fondamentalmente uno scrittore. Il suo primo romanzo, Città aperta, ha conquistato il pubblico internazionale e ricevuto l’approvazione della critica. Poi è arrivato Ogni giorno è per il ladro. Ma nei suoi viaggi, l’autore di origini nigeriane ha sempre scattato fotografie. Una passione coltivata con uno sguardo da osservatore competente e interessato, visto che è anche critico fotografico per The New York Times Magazine. Per la prima volta Cole raccoglie i suoi “appunti fotografici” in un libro di scatti e parole, come le pagine di un diario visivo di quelle peregrinazioni per il mondo: da Chicago a Mumbai, da Lagos a San Paolo del Brasile, da Zurigo a Capri, dall’Indonesia a Vancouver in Canada. Il titolo è Punto d’ombra, edito da Contrasto, nella collana “In parole” (pagine 166, con 107 fotografie, euro 22,00), accompagnato da una mostra con settanta immagini tratte dal volume, a Milano, al Forma Meravigli, fino al 19 giugno. Un lavoro originale e per certi versi coraggioso, che combina una poetica fotografia di paesaggio con una prosa impegnata. Un “atlante”, di luoghi e storie. «Nato negli Stati Uniti, da piccolissimo mi sono trasferito di nuovo in Nigeria, la terra dei miei genitori – racconta Cole –. Dopo aver finito lì le superiori, sono tornato in America per fare l’università. Con poche eccezioni – in particolar modo l’Inghilterra – quello era il mondo che conoscevo. Negli ultimi quindici anni, però, viaggiare è diventato una parte molto più attiva della mia esperienza di vita. All’inizio erano soprattutto soggiorni di ricerca che facevo per completare la formazione di storico dell’arte: Germania, Austria, Belgio. Ma qualche tempo dopo, quando i miei libri sono stati pubblicati, ho cominciato a ricevere inviti a festival di letteratura e programmi di docenza. Se mi invitano in un posto interessante e ho tempo, accetto. Ho rivisto alcuni di quei luoghi, in vacanza o per visitare amici e parenti. Più avanti, ho viaggiato da solo appositamente per fotografare luoghi specifici. Dieci paesi, venti, trenta: il numero aumentava e ormai aeroporti e stanze d’albergo erano “casa”. Senza nemmeno accorgermene, si stava tracciando una mappa del mondo». Un dettaglio metropolitano, l’interno di un hotel, una persona che telefona in una cabina, un albero, il nastro della consegna bagagli di un aeroporto: Cole inizia a guardare e rappresentare la realtà in maniera diversa in seguito a un periodo di semicecità a partire dal quale si pone una serie di riflessioni legate ai temi del “vedere”. A ogni istantanea associa una riflessione, un ricordo o una piccola storia. «Una strada non è solo la superficie asfaltata, i palazzi ai lati, le macchine veloci o lente, la gente intorno a te. È anche il modo in cui tutte quelle cose sono in relazione, come si compongono e ricompongono. Appena alcuni elementi si allontanano dal campo visivo, altri diventano visibili: tu ti muovi, le macchine si muovono, altre persone si muovono, persino il sole si sta muovendo lentamente, e in mezzo a tutto questo movimento multidimensionale devi decidere quando premere l’otturatore, decidere quale di questi istanti mutevoli è più interessante degli altri. Un secondo prima, non è ancora successo. Un secondo dopo, se ne è andato per sempre, irrecuperabile ». Ed ecco il mondo “secondo” Cole. Quello che ha visto fra il secondo prima e quello dopo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il debutto fotografico dello scrittore di origini nigeriane nel libro “Punto d’ombra”: «È un diario di viaggio» A Milano, fino al 19 giugno, una mostra con 70 immagini al Forma Meravigli Brienzersee, Svizzera, giugno 2014 (Teju Cole)
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