martedì 8 febbraio 2022
L'ex direttore della Dia in 'Sapevamo già tutto' si interroga sul perché «per troppo tempo nella classe dirigente ha prevalso la cultura dello zero e zero»
«La mafia è svelata. Ora si può vincere»

-

COMMENTA E CONDIVIDI

«Per la prima volta negli ultimi 30 anni siamo passati in vantaggio contro le mafie. Per troppo tempo nella classe dirigente nazionale ha prevalso la cultura dello zero a zero. Invece possiamo vincere. Ma non dobbiamo cullarci perché ci sono stati altri momenti in cui le mafie sono andate in difficoltà. Ma poi si sono riprese». È l’analisi di uno che di mafie se ne intende, il generale Giuseppe Governale, ex comandante del Ros dei Carabinieri e fino al 2020 direttore della Direzione investigativa antimafia. Da poco ha pubblicato un libro dal titolo che sembra una provocazione, Sapevamo già tutto: Perché la mafia resiste e dovevamo combatterla prima (Solferino, pagine 352, euro 19,00).

Generale, 'sapevamo già tutto' non è il riconoscimento di una sconfitta? No, è una constatazione. Ci hanno detto, ed è anche giusto, che il primo a disvelare la mafia è stato Tommaso Buscetta con le sue dichiarazioni a Giovanni Falcone. Non è sbagliato, però le dichiarazioni di Buscetta sono efficaci soprattutto in quanto ha trovato un magistrato che è stato capace di mettersi in sintonia, cioè non ha sentito ma ascoltato, e soprattutto offerto fiducia nei confronti di chi è stato un nemico dello Stato.

E invece? Come scrivo nel libro, tanto tempo prima altri avevano delineato il quadro della mafia. Già alla fine dell’800 c’erano stati segnali di questo genere, mentre valeva una vulgata che la mafia non fosse un’organizzazione ma un modo di sentire la vita, un sentimento addirittura di bellezza, come qualcuno disse. E si delineò la figura degli 'uomini d’onore' mentre in realtà sappiamo che sono stati uomini del disonore. Rapire un bambino di 11 anni, tenerlo sequestrato per due anni, poi ucciderlo e scioglierlo nell’acido non è onore. Ma lo avevano fatto anche pri- ma. Il questore Sangiorgi alla fine dell’800 delinea un omicidio di una bettoliera, ritenuta che fosse una delatrice della polizia. Per questo motivo subì una vendetta da parte della mafia, venne ferita gravemente ma morì la figlia di 17 anni, Emanuela Sansone. La prima minore vittima di mafia.

E cosa era e cosa è la mafia? La mafia abbiamo stentato a riconoscerla come un’organizzazione segreta che aveva soprattutto lo scopo di acquisire potere. Come disse don Sturzo nel 1900, «era tronfia e pettoruta, serve per domani essere servita, protegge per essere protetta, frequenta i ministeri, va a Montecitorio». E, aggiungeva, che «fa diventare uomini ritenuti fior di onestà responsabili di fatti disonorati ». Ecco perché dico che sapevamo già tutto.

Lei sottolinea nel libro l’analisi quasi profetica di don Sturzo. E l’importanza che la Chiesa ha avuto, ha o potrebbe avere nel combattere le mafie.

Lo Stato italiano è stato organizzato attraverso tre poli che tutelano gli interessi più importanti di una società, e sono i medici di base, con riferimento alla salute, le parrocchie, con riferimento alla salute dell’anima, e le 5.600 stazioni dei carabinieri. Come ha ben compreso papa Francesco, il ruolo della Chiesa può essere costruttivo se associa alla salute dell’anima anche la tutela della condizione civica del cittadino. Se la Chiesa, partendo dal richiamo di Giovanni Paolo II nel 1993, scenderà in campo in maniera forte, tenuto conto che le organizzazioni mafiose si nutrono di una pseudoreligiosità, potrà contribuire a ridurre una forza che soprattutto nei quartieri degradati del Meridione e nei piccoli paesi è ancora forte. Abbiamo avuto dei martiri nella Chiesa, primi fra tutti padre Pino Puglisi e don Peppe Diana, ma dobbiamo anche dire che abbiamo avuto dei preti agnostici, e anche qualcuno uomo d’onore. Il numero degli impegnati sta aumentando e questo è anche un messaggio di speranza. Il loro ruolo è veramente importante assieme a quello della scuola.

Altrimenti resta solo la pur importante repressione…

La mafia non si può vincere se non utilizziamo l’antibiotico, lo strumento investigativo e la magistratura. Però se l’organismo che è la società civile continuiamo a esporlo al contagio, che è la microcultura mafiosa, non vinceremo mai. I mafiosi, che non sono affatto invincibili, cercano di approfittare delle fessure che la società e l’organizzazione statale offrono. Se si trovano di fronte una classe dirigente con pareti di acciaio, le possibilità di infiltrarsi si riducono, ma se trovano una pubblica amministrazione o delle imprese che accettano il compromesso, si infiltrano. Se abbiamo una pubblica amministrazione votata al merito, che assume delle decisioni che non sono farraginose e lente, ma certe, tempestive e giuste, la mafia perde credibilità. Tante volte è successo che i cittadini si sono rivolti allo Stato e hanno trovato una coltre di nebbia e così si sono rivolti ai mafiosi trovando risposte che hanno considerato giuste. E così si è alimentata la diffidenza nei confronti dell’organizzazione statale.

E aumenta il consenso verso i mafiosi…

Le mafie vivono di potere e di consenso. Dobbiamo fare in modo che il consenso diminuisca. Oggi sono in difficoltà sul piano militare, ma ancora resistono. E questo perché adottano la politica di nutrirsi dall’interno, con sempre nuovi adepti, e di aspettare. Loro pensano che per quanto riguarda la pandemia e i fondi che arriveranno, faranno affari. Stanno attendendo che i riflettori si abbassino, e al momento opportuno sceglieranno. E lo faranno in maniera più veloce perché hanno una struttura decisionale. Hanno inoltre grande capacità di apprendere dalle lezioni per loro negative, e si adattano. Non a caso ho scelto il camaleonte come immagine di copertina. Ma hanno tutto l’interesse che l’'anima' rimanga inalterata. Dobbiamo sperare che il loro senso di appartenenza si affievolisca e abbiamo segnali in questo senso.

Quali?

Quando nelle piazze si esibiscono i cantanti neomelodici che arringano le masse con lo slogan che i nemici sono i pentiti e gli sbirri, il messaggio che stanno lanciando cerca di tutelare il loro senso di appartenenza, perché chi si pente, chi va verso lo Stato è considerato un infame. Potrebbe essere un segno di debolezza.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: