domenica 19 maggio 2019
Il nuovo studio di Alberto Guasco rilegge i suoi primi 35 anni. Colpiscono le sue note sulla vita da gesuita, sul fare catechismo ai profughi di guerra, sull’assistere i malati
Padre Carlo Maria Martini legge il breviario a Orbassano nel 1952

Padre Carlo Maria Martini legge il breviario a Orbassano nel 1952

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Scolastico esemplare, apostolo della carità, orgoglioso di vestire lo stesso abito nero dei venerati padri (in primis Carlo Brignone) dell’Istituto sociale di Torino – (gli stessi immortalati, in fondo, nei racconti di un grande scrittore come Mario Soldati) – dal cui stile di santità ordinaria ha intuito, proprio tra i banchi di quella prestigiosa scuola, i primi segni e indizi della sua futura vocazione nell’amata Compagnia di Gesù, ma anche filosofo e teologo di stampo rigidamente tomista «quasi tradizionalista » e infine uomo innamorato della Parola di Dio. È la storia in un certo senso dei primi 35 anni di vita di Carlo Maria Martini, il biblista di fama chiamato per volere di Giovanni Paolo II, dopo la guida come rettore del Pontificio Istituto Biblico e della Gregoriana, a reggere per ben 22 anni («gli stessi di sant’Ambrogio», amava ripetere lo stesso cardinale) l’arcidiocesi di Milano. E un libro appena uscito, scritto con dovizia di fonti inedite (tra cui quelle d’archivio della Compagnia di Gesù e della famiglia d’origine del cardinale) e acribia certosina dallo storico piemontese Alberto Guasco Martini, Gli anni della formazione (1927-1962) (Il Mulino, pagine 274, euro 23) ritorna sul primo periodo della lunga esistenza del porporato torinese morto il 31 agosto del 2012 per uno strano disegno del destino in uno dei luoghi della sua formazione (a cui è dedicato un intero capitolo di questo libro): l’Aloisianum di Gallarate nelle cui aule fratel Martini, tra il 1946 e il 1949, apprese i rudimenti della filosofia scolastica “sotto la protezione di san Tommaso d’Aquino” alla sequela, tra gli altri, del suo indimenticato “maestro” padre Roberto Busa.

Un libro che ci riporta idealmente al retroterra cattolico ignaziano, ma anche alle semplici devozioni mariane apprese da Martini grazie all’esempio della madre Olga Maggia; affiorano dentro le pieghe di questo saggio molti dettagli già conosciuti di questa complessa figura dovuti anche «alla mole ingovernabile di fonti» (basti pensare alla biografia monumentale di Marco Garzonio o al ritratto carico di affetto da poco uscito per Àncora L’infanzia di un cardinale, scritto dalla sorella Maris) come ammette lo stesso Guasco nella presentazione del volume; ma spuntano come in un giardino ben coltivato anche tante piccole perle inedite: tra queste la figura del gesuita Silverio Zedda, che instrada il brillante allievo, durante gli anni del teologato a Chieri, all’attenzione ai «generi letterari» nella Bibbia come indica l’enciclica di Pio XII Divino Afflante Spiritu; il volume racconta in sottofondo il Martini novizio (accarezzò da buon torinese tra l’altro l’idea di farsi salesiano…) desideroso di entrare «in religione» cioè nei gesuiti prestissimo a 17 anni, ma soprattutto mette in luce che grazie alle spiccate doti intellettuali di questo candidato al presbiterato «brucerà» presto le tappe formative del lungo percorso di studi ignaziano. Del resto i superiori, come testimonia il suo compagno di studi Sergio Masetto, «hanno compreso subito le sue qualità e l’hanno mandato in teologia saltando gli anni di magistero…».

A colpire di questo volume sono le note del giovane fratel Martini attorno alla sua vita ordinaria da gesuita, come il suo fare catechismo ai profughi di guerra o assistere gli ammalati, le ore dedicate allo studio, alle penitenze o ancora il tempo dedicato alla meditazione e alla dura pratica degli Esercizi spirituali per superare e quasi lottare contro gli «affetti disordinati » che ci allontano da Dio o ancora il riserbo e la gioia con cui racconta, nelle sue lettere, la sua vita da prete novello ai genitori. Nel volume c’è molto di più: si rimane impressionati dai numeri dei gesuiti in formazione negli anni di Martini più di 100 tra il noviziato a Cuneo (1944-46), e poi nei successivi a Gallarate (194649) e a Chieri (1949-53). E a colpire sono anche la galleria di illustri confratelli che il giovane gesuita incontra e molti dei quali forgeranno il futuro «Martini professore»: da Riccardo Lombardi il “microfono di Dio” di cui è un attento seguace e spettatore delle sue iniziative come le “crociate della bontà”, allo storico (e studioso del pontificato di Pio XII) Angelo Martini, dal biblista Maximilian Zerwick ad Alberto Vaccari di cui l’arcivescovo di Milano sarà il successore nella prestigiosa cattedra di critica testuale al Biblico, al suo compagno di Messa, il futuro traduttore delle opere di Hans urs von Balthasar, Guido Sommavilla, fino ai teologi conservatori della cosi detta “scuola romana” della Gregoriana come Edward Dhanis (acerrimo avversario di un gigante come De Lubac) e Sebastian Tromp. Il volume ci regala tra i dettagli (oltre a dirci del desiderio avuto già da giovanissimo dopo un viaggio in Terra Santa di vivere e poter morire lì) particolari poco conosciuti come la remota possibilità per padre Martini di essere chiamato, con l’assenso dei superiori, per alcuni anni di missione in Giappone…

Non sfugge all’autore di raccontarci le letture spirituali e teologiche nel solco della Aeterni Patris di Leone XIII e della Humani Generis di Pio XII di cui si abbeveravano i gesuiti di quel tempo: a cui è proibita la conoscenza diretta dentro le loro fornitissime e aggiornatissime biblioteche dei grandi pensatori della Nouvelle théologie come Congar, Daniélou e De Lubac; ovviamente da queste pagine affiora una dote singolare di Martini, il suo essere un topo di biblioteca, il suo sentirsi, secondo Guasco, in sintonia col metodo storico critico di leggere e interpretare la Bibbia indicato dal domenicano Marie Joseph Lagrange o ancora l’attenzione ai particolari che sarà una delle caratteristiche chiave del consecutivo successo accademico al Biblico di Roma come professore proprio di una materia per certi versi ritenuta dagli stessi specialisti “arida” come la critica testuale. Altro dettaglio è vedere, nella trama di queste pagine, la mitezza di Martini, che nello stile di gesuitica obbedienza lascia che siano sempre i superiori a decidere del suo destino: tra questi anche quello di rimanere stabilmente a Chieri come docente di teologia fondamentale.

Si deve in un certo senso alla lungimiranza di uomini come il preposito generale dei gesuiti il belga Giovanni Battista Janssens e il rettore del Biblico Ernest Vogt, se Martini è destinato a diventare nel cuore del cattolicesimo che è Roma un biblista di razza. Il volume si sofferma infine sugli anni alla Gregoriana di Martini (1956-59) e sulla sua definitiva collocazione nel 1962 (accanto a un confratello destinato a divenire come lui cardinale, successivamente esegeta di fiducia di Joseph Ratzinger, Albert Vanhoye) al Biblico e su quanto l’impronta indiretta di uomini come Agostino Bea e del suo direttore di tesi di dottorato sul codice-papiro Bodmer, Stanislas Lyonnet, abbiano influito a formare proprio tra quelle austere mura colui che nel 2006 papa Benedetto XVI ebbe a definire, per il suo sconfinato amore e conoscenza per la Scrittura: un «vero maestro della lectio divina».

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