martedì 9 luglio 2013
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Più o meno così da 200 anni. Per i milanesi, per il mondo intero: compie due secoli la facciata del duomo. Dagli annali della Veneranda fabbrica. "1813. Addì 15 luglio. Agli scultori Antonio Rusca l. 2184, a saldo delle due statue di s. Fabio e s. Saturnino; e Grazioso Rusca l. 2781, a saldo delle cinque rappresentanti s. Severino, s. Felice, s. Guiniforte, s. Fabiolo e s. Ascella". Già, san Felice. Colui che svetta, seppure oggi in copia identica, dal terminale di una delle grandi guglie prospicienti la piazza. Ma ecco un riferimento inequivocabile: "Nell’aprile 1813 - così si legge in una pubblicazione a più mani della Veneranda, risalente al 1986 - l’Amati si dimise da Architetto della Fabbrica quando però la facciata era ormai conclusa". Un’opera condotta da quel Carlo insieme al canonico Giuseppe Zanoia. Ultimata per ordine di Napoleone. Che il 22 maggio 1805 impose alla Veneranda di alienare l’intero suo patrimonio immobiliare per compiere l’opera. E che proprio lì, nella chiesa madre della metropoli, pochi giorni dopo si incoronò re d’Italia. Era il 26 maggio. Dieci anni più tardi, ricorda Angelo Caloia, il presidente della Fabbrica, Napoleone cadeva nella polvere di Waterloo. Era l’epilogo di un’epoca segnata appunto da "polveri e altari", per dirla con Manzoni. Contraddizioni che nemmeno il Duomo riuscì a sfuggire.Argomenta il presidente della Veneranda: «Da un lato, l’imposizione di vendere il patrimonio della Fabbrica fu un atto spregiudicato che mise a rischio la stessa sopravvivenza economica dell’ente preposto alla tutela del monumento. Ma dall’altro, quel milione e 200mila lire dell’epoca, realizzato dalle vendite, trasformò di nuovo il duomo in un crocevia di sapienza e tradizioni, facendo rifiorire la sua foresta di guglie». Portando così a termine in meno di un decennio ciò che i 4 precedenti secoli avevano voluto, ma non compiuto: il rinnovo della vecchia facciata. Quella appartenente all’ormai demolita chiesa di Santa Maria maggiore, rimasta "appoggiata" alla nuova cattedrale.L’opera napoleonica fu eseguita in tutta fretta. Vide impiegato anche il marmo di Ornavasso, ben meno prezioso e più fragile rispetto a quell’"oro di Candoglia" che fonda, slancia e colora la costruzione realizzata senza alcun impiego di laterizi. Si trovò anche a un passo dalla sua totale riforma, quando nel 1886 la Fabbrica bandì per questo un concorso internazionale. Ma poi, attorno al 1910 venne solamente rifatta nella falconatura superiore: per migliorare le sue geometrie, ma soprattutto per scongiurare nuove cadute di marmi sulla piazza.Poco importa, tutto ciò: la facciata di oggi, nella sua sostanza, è quella che iniziava a esistere circa 2 secoli fa. D’altronde, contestualizza Caloia, anche allora «non era tempo di recriminazioni, né di processi alla storia. Ma quello in cui sostentare la cattedrale con la stessa sapienza e con gli stessi saperi che ne avevano impastato la vita per oltre 4 secoli, superando tutte le bufere della contemporaneità». Ed è proprio questo «lo spirito con cui la Fabbrica affronta ancor oggi le sfide della storia», protesa «verso Expo 2015». Ecco allora i 12 cantieri sul duomo, la riapertura del Museo, il riallestimento del prezioso archivio. «In nome dei milanesi - conclude il presidente -. Per tramandare alle nuove generazioni il simbolo della città».
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