lunedì 9 giugno 2014
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Nei suoi ultimi giorni di vita Claudio Abbado studiava e ristudiava la Terza sinfonia Renana di Robert Schumann. L’aveva sempre accanto. L’avrebbe voluta dirigere. L’avrebbe dovuta dirigere domani sera a Dresda nella Frauenkirche, la chiesa di Nostra Signora, con la sua Mahler chamber orchestra. Dal 20 gennaio, però, il direttore d’orchestra «è in viaggio», come hanno scritto i figli annunciandone la scomparsa. Ma domani sera la Terza sinfonia risuonerà comunque a Dresda. A dirigerla, sul podio dell’orchestra fondata da Abbado nel 1997, ci sarà Daniele Gatti. «Da qualche tempo il rapporto tra me e la Mahler chamber orchestra si sta intensificando: abbiamo in calendario un concerto al Festival di Lucerna e, dal prossimo anno, l’integrale delle Nove sinfonie di Ludwig van Beethoven, che porteremo in due stagioni a Torino per Lingotto musica» dice il direttore d’orchestra milanese che ha detto subito sì alla proposta di salire sul podio a Dresda per ricordare il collega. «Ho fatto in modo che l’impegno si incastrasse tra una recita e l’altra del Falstaff di Giuseppe Verdi che sto dirigendo alla Nationale opera di Amsterdam. Il concerto per ricordare Abbado è nato intorno alla Terza sinfonia di Schuman che Claudio stava studiano nei suoi ultimi giorni di vita. Al progetto si sono poi uniti Waltraud Meier e René Pape e abbiamo deciso di fare alcuni lieder di Mahler e l’Addio di Wotan e L’incantesimo del fuoco da Valchiria>». Maestro Gatti, che rapporto la legava ad Abbado?«Quando studiavo in Conservatorio a Milano erano gli anni della direzione musicale di Claudio al Teatro alla Scala: appena potevo, andavo in loggione ad ascoltarlo sia nel repertorio sinfonico che in quello operistico. La mia formazione avveniva così in aula, ma anche sul campo. Qualche tempo dopo il mio debutto sul podio un amico comune mi ha portato i suoi saluti, saluti inaspettati perché mai avrei immaginato che Claudio sapesse chi fossi. Così ho scoperto che mi seguiva da lontano. Ci siamo sentiti qualche volta, abbiamo parlato di musica: io trentenne e lui direttore affermato in tutto il mondo. Non ho in lui un padrino, come molti giovani direttori, ma un riferimento musicale, questo sì. L’ho seguito, da collega, cercando di fare mia la sua lezione».Quale quella che Abbado lascia?«Ho sempre ammirato il suo essere sempre in ricerca. Studiava e ristudiava anche pagine che aveva diretto decine di volte. Lo ha fatto sino all’ultimo, studiando la Terza di Schumann anche nei giorni difficili della malattia. Nel mio essere musicista cerco di avere la sua stessa sete di conoscere, scavando continuamente nelle pagine che dirigo. Oggi questo lo fanno in pochi perché nel nostro mondo è facile sedersi e vivere di rendita. Ma il pubblico se ne accorge».Come mettersi al riparo da questo rischio?«Dobbiamo proporre esecuzioni non standardizzate, da cui traspaia la nostra volontà di ricerca. Io cerco di farlo in un percorso che mi porta a ripensare sempre la musica che mi trovo davanti: certo, si può sbagliare, cambiare strada e tornare indietro. Bisogna fare uscire il pubblico dai concerti e dalle opere con qualche punto di domanda, non con certezze».Domani il concerto a Dresda, ma ieri ha debuttato con «Falstaff» ad Amsterdam: il titolo verdiano torna spesso nella sua carriera.«E spero che Falstaff ci sia anche in futuro. Non si può fare a meno di questa partitura sul piano tecnico, perché è un banco di prova per un direttore, ma soprattutto sul piano umano: il periodo delle prove è sempre arricchente perché con Falstaff si lavora sulla nostra umanità, sulle nostre miserie e sulle nostre grandi risorse».In «Falstaff» racconta qualcosa di lei, maestro Gatti?«Sono ancora troppo giovane per sorridere della vita come fa il personaggio verdiano nella burla finale. In Falstaff mi colpisce la nostalgia che pervade i personaggi, colti da Verdi e Boito in un momento di passaggio della vita. Sono anch’io in un momento di passaggio, quello dei cinquant’anni. Quando nel terzo atto sir John si riscalda al sole e capisce che per lui è finito un periodo della vita e ne inizia un altro, ecco che un po’ mi ritrovo nel personaggio che lascia gli anni spensierati della giovinezza per entrare nella maturità. Maturità che un po’ di nostalgia la porta con sé».
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