venerdì 19 luglio 2019
A Vevey, nel Canton Vaud in Svizzera, la Fête des Vignerons si tiene «una volta per generazione» dal Settecento e celebra il lavoro nei filari portati qui dai monaci
i vigneti del Lavaux (Maude Rion)

i vigneti del Lavaux (Maude Rion)

COMMENTA E CONDIVIDI

G li americani, così appassionati di classifiche, l’hanno definita per bocca del “New York Times” uno degli «avvenimenti imperdibili» di questo 2019. Dal 2016, in realtà, già l’Unesco aveva provveduto a inserirla nella sua celebre lista: eppure l’attesa per questa Fête des Vignerons – la festa dei vignaioli che si è aperta ieri e che per venticinque giorni animerà Vevey sul lago di Ginevra – è spasmodica. Ben un milione di persone sono attese nella cittadina di diciannovemila anime sulla riviera di Montreux, a pochi chilometri da Losanna, per una kermesse assolutamente unica a partire dalla frequenza con cui si tiene: ogni venti, ventidue anni, «una volta per generazione» come amano dire qui, dodici in tutta l’era moderna (la prima certificata è del 1797), cinque per secolo, le ultime nel 1999, 1977, 1955 e così via, dunque la prima Fête targata Unesco.

Sul palco in led di 800 m² della grande arena da ventimila posti appositamente costruita (e che a festa finita verrà subito smantel-lata), ogni sera uno spettacolo di due ore e mezza affidato a un mago delle scene, il regista ticinese Daniele Finzi Pasca, già autore della cerimonia conclusiva alle Olimpiadi invernali di Soci e di spettacoli del Cirque du Soleil, coordinerà seimila comparse tra balli, canti e coreografie che in una ventina di tableaux vivants, con gli splendidi costumi della nostra Giovanna Buzzi, rievocheranno in maniera fiabesca il lavoro dell’uomo nella vigna. Già, «perché a essere celebrato in questa Fête des Vignerons non è il vino, ma il viticoltore che lavora la vigna, colui se ne prende cura durante tutto l’anno e che non è nemmeno il suo proprietario», spiega François Murisier, presidente del consiglio artistico nonché uno dei ventiquattro saggi che compongono la Confrérie des Vignerons (la Confraternita dei vignaioli), colonna portante della festa. In tempi in cui il prodotto – in questo caso il vino – viene sempre più innaturalmente isolato e allontanato per ragioni di marketing dalle braccia che l’hanno creato, il riconoscimento Unesco plaude sì a una grande festa dove coinvolta è tutta la popolazione, ma anzitutto indica come valore da celebrare il duro lavoro dell’uomo, qui nella vigna, quale patrimonio dell’umanità.

E del resto se passeggiamo tra i 38 km di sentieri a picco sul lago Lemano, dove si trovano gli oltre 800 ettari di vigneti del Lavaux – sito Unesco dal 2007 –, si comprende l’intreccio indissolubile che lega la storia del Canton Vaud con la natura, la vigna (dopo il Vallese questo è il secondo cantone produttore di vino svizzero) e le sue manifestazioni artistiche. I Romani piantarono i primi vigneti a bordo lago, ma l’impulso alla viticoltura come la conosciamo e ammiriamo oggi, con questi spettacolari terrazzamenti, arrivò grazie ai monaci cistercensi, che ricchi del loro know-how proveniente dalla Borgogna vennero chiamati dai vescovi di Losanna per ricavarne il vino da Messa. «Non molto da allora è cambiato: tutto è fatto a mano, non c’è meccanizzazione, la pendenza è alta, lavorare qui è davvero difficile, ci aiuta la passione – racconta Blaise Duboux, 17ª generazione alla guida del suo domaine di cinque ettari a Epesses – il mio antenato Leopardo De Bosco era fuggito da Torino nel XV secolo ed era diventato arcidiacono della cattedrale di Losanna'.

Una “Ville en Fête” è lo spettacolo di un’intera cittadina, Vevey, che si veste di festa e che per essa spende la cifra enorme di cento milioni di franchi svizzeri (quasi novanta milioni di euro), nessuno di provenienza pubblica. A colpire sono le quasi seimila comparse dello spettacolo (i cui biglietti sono venduti dagli 80 ai 300 franchi) e che, spiega Hugo Gargiulo, architetto e scenografo uruguagio, «rispondono all’idea del regista di permettere a chiunque di partecipare: ci sono figuranti settantenni che ballano, la percentuale di professionisti è bassissma ed è del cinque per mille, perché questa è festa di popolo, che la gente ama raccontare e tramandare di generazione in generazione. E che impegna ciascuna comparsa tutto l’anno per le prove come a impiegare le proprie ferie per animare gli spettacoli». Gli fa eco la costumista Giovanna Buzzi: 'Abbiamo già distribuito quattromila vestiti, svolto 5.913 prove di abiti che ciascuno dei partecipanti paga di persona e conserverà. Ci lavoro da tre anni». Ma ci sono anche mille coristi e una quarantina di percussionisti. Perfino le vacche hanno fatto un casting insieme agli undici tenori che intoneranno Le Ranz des vaches, il canto tradizionale dei pastori della Gruyère reso celebre in Europa da Jean-Jacques Rousseau e uno dei momenti incontournables, cioè salienti. «Alla festa ci lavoriamo da anni – chiosa il regista Finzi Pasca – e poi per dieci anni ancora tutti ne parleranno: solo allora si penserà alla Fête successiva. La gente di qui è fiera, ma lo è in maniera discreta. È come quel vignaiolo del Lavaux che quando vai a casa sua ti stappa una bottiglia di Chasselas e con molta tenerezza ti dice: “Non è questo il posto più bello al mondo?”».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: