lunedì 2 aprile 2012
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​Se esiste un’immagine che, certamente, può considerarsi una delle icone o degli emblemi più rappresentativi del Rinascimento, questa è la tavola dipinta conservata nella collezione della Galleria Nazionale delle Marche, nota come Città Ideale. Dell’opera, che misura quasi settanta centimetri d’altezza per poco meno di due metri e 40 di larghezza, si sa pochissimo, a cominciare dal suo autore per il quale si sono voluti avanzare i nomi dell’architetto Luciano Laurana, cui si deve il palazzo di Federico da Montefeltro a Urbino, sede della Galleria nazionale, Piero della Francesca e, di recente, Leon Battista Alberti, dopo gli esami strumentali che, con le riflettografie, hanno rivelato la presenza di un accuratissimo disegno architettonico (si vedano in proposito il saggio di G. Morolli, “La vittoria postuma: una città niente affatto ideale”, in L’uomo del Rinascimento. Leon Battista Alberti e le arti a Firenze tra ragione e bellezza, a cura di C. Acidini, 2006).Gli interrogativi di fondo, però, sono rimasti: quale funzione aveva? Dove era collocata in origine? Si tratta di una scenografia teatrale come pensava Krautheimer? Chi fu il committente? E l’autore? A riproporre tutte queste annose questioni, ora, ad Urbino, in quello straordinario palazzo, è una grande mostra curata da Lorenza Mochi Onori e Vittoria Garibaldi che pone la nostra tavola al centro dell’attenzione, affiancandole – evento più unico che raro – l’altra di soggetto simile conservata presso la Walters Art Gallery di Baltimora: La città ideale. L’utopia del Rinascimento a Urbino tra Piero della Francesca e Raffaello (dal 6 aprile all’8 luglio). Bisogna infatti sapere che le opere con questo tema che abbiano una dimensione monumentale, sono tre in tutto il mondo. Ai dipinti citati, infatti, va affiancato quello della Gemäldegalerie di Berlino. Averne due insieme, perciò, al di là dell’aspetto spettacolare, contribuirà non poco a chiarire lati oscuri della complessa vicenda storica e, dunque, anche quelli connessi con il significato dei tre capolavori. Infine non si può tacere dell’irripetibile suggestione di avere le due tavole esposte nelle sale del Palazzo di Urbino, vera e propria traduzione architettonica delle istanze teoriche della città ideale, ripetuta, per altro, in esempi urbanistici più o meno coevi, come Pienza, Palmanova o Sforzinda, che fu però solo immaginata da quel funambolico architetto che risponde al soprannome di Filarete. Per ottenere un simile risultato c’è voluta tutta la costanza e la lungimiranza dell’attuale Soprintendente e di colei che l’ha preceduta, Vittoria Garibaldi, cui di diritto spetta la co-curatela, per aver ripreso l’idea originaria della sua collega e averla portata avanti fino a restituirle il testimone poco più di due anni fa.Corredata da un bel catalogo edito da Electa, la mostra si vanta di una cinquantina di pezzi che ruotano intorno a quel concetto principe dell’ideale estetico del Rinascimento che ha nella città la sua sintesi più alta. Articolata in nove sezioni, l’esposizione accompagna il visitatore in un viaggio, fra idee e bellezza, che parte dalla città medievale per snodarsi fra i monumenti pittorici di Domenico Veneziano, Beato Angelico e Filippo Lippi che testimoniano del profondo cambiamento in atto. Assai interessante, poi, è il confronto fra le cosiddette Tavole Barberini e quelle di San Bernardino, nelle quali sono state identificate le vedute ideali del Palazzo Ducale di Urbino, di quello di Pesaro e del Tempio Malatestiano. Vista l’opportunità offerta dalla sede che ospita la Flagellazione di Piero della Francesca, poi, non poteva mancare una riflessione sull’architettura nello sviluppo di questo tema preso ad emblema della relazione fra corpo umano e corpo dell’edificio. Proprio per questo, l’unico piccolo rammarico che si può lamentare, in una mostra che è splendida, è l’assenza di un approfondimento sulla dimensione anatomica del corpo in quanto paradigma primo dell’idea stessa d’armonia e di proporzione come asserisce il grande Vitruvio.
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