L’ uomo del fiume, Serse Cosmi, sta seduto sulla sponda in attesa di chiamata per una nuova panchina. Gli brucia ancora forte l’esonero dell’anno scorso al Brescia, dopo appena 5 giornate. «La stagione precedente, da subentrato, avevo ottenuto la stessa media punti con la quale quest’anno il Bari è salito in serie A...». Il 51enne Serse da Ponte San Giovanni (Perugia), fino a un attimo fa era considerato il miglior allenatore emergente e adesso invece si ritrova al palo. Il tutto dopo aver costruito il Perugia dei miracoli di Luciano Gaucci, riportato in serie A il Genoa (poi retrocesso in C per la “valigetta” di Preziosi) e condotto l’Udinese a un passo dal traguardo-record del superamento della fase a gironi della Champions.
La storia dicono sia maestra di vita, ma forse nel calcio nessuna la studia più? «Come dice Walter Mazzarri, rimasto a piedi pure lui, “non si guarda più al curriculum”. Se questo fosse il requisito principale, gente come lui, Delio Rossi o il sottoscritto, i presidenti non li lascerebbero mica a spasso. Sempre che la scelta dell’allenatore la facciano ancora i presidenti...».
Perché chi è che assume il tecnico adesso? «Si è creata una grande confusione. Una volta presidente, direttore sportivo e tecnico, erano un’entità unica. Adesso invece il ds è diventato un elemento al servizio esclusivo del presidente e quando le cose vanno male, per il terrore di perdere il posto, si schiera dalla parte del più forte. Ed è naturale che il terzo anello, il più debole, cioè l’allenatore, salti come un birillo».
Siamo alle solite: l’allenatore unico vero capro espiatorio. «La responsabilizzazione è aumentata. In serie A l’allenatore svolge sempre di più il ruolo del “gestore di situazioni” che spesso vanno molto al di là dell’aspetto tecnico. Faccio un esempio: all’Udinese nella partita più importante della sua storia, la sfida di Champions contro il Barcellona, dovetti lasciare fuori Iaquinta perché non rinnovava il contratto con la società...».
Il suo collega Galeone teorizza: “Un allenatore in serie A incide per il 20% nell’economia della squadra”... «E ha ragione. Per vedere il lavoro vero sul campo e una circolazione interessante di idee bisogna andare a seguire gli allenamenti all’estero o da noi scendere a dare un’occhiata alla serie C. È quello che farò da qui a quando non mi richiameranno».
Ricomincerebbe anche dall’estero? «Perchè no? Noi italiani commettiamo ancora l’errore di sentirci i depositari assoluti del calcio, mentre magari in questo momento c’è più da imparare dal campionato greco o da quello turco che dal nostro. Di sicuro non ricomincerò mai più dalla serie B, quello è uno degli errori di valutazione che ho commesso. Devo ancora correggerne altri di mentalità...».
Qual è il suo “limite mentale”? «Carletto Mazzone un giorno mi disse: “Serse, il guaio tuo è che sei troppo aziendalista”. È vero, ho sempre messo al primo posto la società e poi le mie esigenze. In ogni club in cui ho lavorato non ho fatto spendere un centesimo di più del budget a disposizione. Forse è arrivato il tempo di pensare un po’ a me stesso».
È la sua ricetta contro la disoccupazione? «Il termine “disoccupato” per chi come noi allenatori ha la fortuna di percepire certi ingaggi può sembrare offensivo, specie in tempi in cui la gente non arriva a fine mese. Io mi definisco più un arrabbiato che ha tanta voglia di tornare in campo per dimostrare tutto il suo valore. Penso che questo sia il sentimento comune di ogni tecnico che è fermo».
È fermo anche Roberto Mancini, l’allenatore che ha vinto di più negli ultimi anni. «Per Mancini è solo una questione di peso contrattuale, i 6 milioni di Moratti in giro non glie li danno mica tanto facilmente ».
La Juve ha scelto Ciro Ferrara e il Milan Leonardo, la “sindrome Guardiola” sta dilagando? «Sicuramente, però faccio notare che Guardiola al debutto ha vinto la Liga e ha strappato una Champions a un signore di 67 anni che si chiama Alex Ferguson... ».
Vuol dire che da noi è ancora meglio puntare su tecnici rodati piuttosto che su giovani allo sbaraglio? «Io faccio solo una considerazione: dieci allenatori di serie A che la passata stagione sono partiti alla prima giornata, quest’anno non lavorano. Allora, o questi sono improvvisamente “rimbecilliti”, oppure quelli nuovi sono tutti dei fenomeni...».
Non crede a questa seconda ipotesi? «Per niente. Quando nel 2000 mi chiamò il Perugia, ero il terzo allenatore nella storia del calcio italiano che aveva fatto il doppio salto dalla serie C alla A. Ora mi pare che a due-tre tecnici ogni anno viene data questa opportunità. E appena fanno benino si grida al miracolo».
Giudizi eccessivamente positivi? «Naturale. La serie A all’epoca era a 18 squadre e non a 20, con 4 retrocessioni invece di 3. In più esistevano ancora le “7 sorelle” e il mio Perugia ha dato spettacolo ed è arrivato in Uefa scomettendo su sei giocatori, tutti titolari, che arrivavano dalla C e un dilettante, Pieri... Non vedo allenatori guidare squadre del genere attualmente».
Sta rivalutando anche i meriti di Luciano Gaucci, uno degli “ostracizzati” di Calciopoli?«Ho sempre pensato che Luciano Gaucci fosse un genio, uno dei rari presidenti competenti di calcio, era avanti dieci anni rispetto agli altri. E suo figlio Alessandro è il più grande scopritore di talenti in circolazione».
C’è un Cosmi in circolazione e non in attesa di panchina? «Sì, Mourinho. Come Cosmi dice sempre quello che pensa e non ha paura di metterci la faccia... Ma questo forse oggi non paga più».