martedì 18 febbraio 2014
​Dei cinque sensi è il meno considerato, ma ad esso sono legati i ricordi e i primi approcci alla vita. Oggi vanno gli odori artificiali, ma tutti ne abbiamo uno personale, una vera carta d’identità. Parlano una biblista, uno scienziato e uno psicologo.
COMMENTA E CONDIVIDI
Ci vuole naso per certe storie. Figurarsi per la storia del più sottovalutato, a quanto pare, dei cinque sensi: l’ol­fatto. È paradossale perché oggi il profumo personale potrebbe addi­rittura mandare in pensione carta d’identità e passaporti. Un gruppo di ricercatori dell’Universidad Politécnica di Madrid sta infatti lavorando a una carta di riconosci­mento che oltre alle impronte digitali, al­l’iride e all’identificazione facciale con­templi anche la propria firma odoro­sa. Eppure sin dall’antichità ha pesato la diffidenza dei filosofi verso l’ol­fatto. Aristotele lo bollava come il più mediocre di tutti i sensi. E in epoca moderna gli illuministi e lo stesso Charles Darwin hanno a­vallato l’idea di un organo di se­rie B, un residuo dei nostri antenati preistorici. Peccato però che generazioni di poeti e scrittori, da Proust e le sue madeleine a Süskind e il suo ce­lebre romanzo Il profumo, abbiano invece versa­to fiumi di inchiostro sul potere degli odori. Alla stessa Cleopatra il naso, lungo o corto che fosse, non ha tolto quel fascino irresistibile che la sto­ria tramanda. E Cyrano de Bergerac con la sua no­biltà d’animo ha lasciato il segno nonostante lui stesso si vergognasse per la sua ingombrante pro­tuberanza nasale. Di fatto però soltanto negli ul­timi anni psicologi e scienziati hanno riscoperto «la dignità di un organo che appare comico per la mentalità moderna», per dirla alla Chesterton. «È vero – ammette  Alberto Oliverio, docente di psicobiologia alla Sapienza di Roma – l’olfatto è sempre stato considerato la 'Cenerentola dei cin­que sensi' e soltanto oggi c’è una certa rivaluta­zione. Ha influito forse anche la minore capacità olfattiva dell’uomo rispetto agli animali che ha portato i ricercatori ad occuparsi di capacità sen­soriali ritenute più rilevanti ed 'evolute'. Ho co­nosciuto personalmente un grande neurofisiolo­go, Yngve Zotterman (1898-1982), che veniva con­siderato bizzarro soltanto perché si dedicava al­l’olfatto, studio che molti ritenevano secondario. In realtà l’anosmia, la perdita della capacità di perce­pire gli odori toglie colore alla vi­ta, perché l’olfatto è legato anche al cibo o alla sensualità. Attraverso que­sto organo non solo percepiamo i profumi e gli o­dori, ma evochiamo ricordi ed emozioni, stimo­liamo la nostra immaginazione e persino i nostri sogni, ci apriamo o meno ai rapporti interperso­nali. Ha una funzione decisiva nell’attrazione e nella relazioni».  A naso, quindi, un contributo tutt’altro che mo­desto: «Stiamo parlando – prosegue Oliverio – di uno dei primi sensi che si sviluppa dopo l’udito nel feto. Riconoscere odori pericolosi fa parte del no­stro backup genetico: anche un bambino riesce a riconoscere subito un latte acido senza bisogno di assaggiarlo. La memoria della specie ha saggia­mente selezionato dei meccanismi attraverso cui rifuggiamo da odori negativi, acidi o cose marce. Poi sviluppiamo memoria per alcuni odori che ci accompagnano dall’infanzia come scriveva Prou­st… Solo di recente la scienza ha 'fiutato' il potenzia­le di questo senso al punto che si fa strada l’olfat­toterapia: «È un settore che soprattutto in Italia è ancora poco sviluppato – conclude Oliverio –. Però tramite gli odori si può incidere nella stimolazio­ne del sistema nervoso quando nella vecchiaia perde colpi o nel caso di anesmie da traumi cra­nici. Un grande sviluppo stanno avendo le cellule olfattive nell’ambito della medicina rigenerativa. Prelevando le cellule staminali da quelle del bul­bo olfattivo del paziente stesso si potrebbero ave­re nuove terapie. Così come sono sempre più fre­quenti gli studi sui geni che strutturano la nostra identità olfattiva».  Che invece l’olfatto riveli qualcosa della nostra i­dentità lo dicono anche le Scritture. Come spiega la biblista Antonella Anghinoni : «Tantissime pa­gine del testo biblico sono 'profumate'. Il termi­ne ebraico reach richiama ruach lo Spirito, quin­di già alla radice il profumo ha in sé qualcosa di di­vino. Non a caso compare nel Cantico dei Canti­ci, un libro che non si può comprendere senza far riferimento agli odori. Questo testo comincia su­bito con un altro termine illuminante: 'Profumo (shemen) olezzante è il tuo nome'. Shemen evo­ca la parola shem che significa nome. A riprova che ognuno di noi ha un odore diverso, il profumo sve­la l’identità specifica di ogni uomo e di ogni don­na. L’olfatto è il senso più interno all’uomo e nel­la tradizione rabbinica è l’unico senso non intac­cato dal peccato: tutti i sensi ti possono inganna­re, il profumo no». Un senso 'divino' di nome e di fatto: «La Genesi dice dopo il diluvio universale Noè fa un sacrificio e volute di profumo salgono al Signore che ne odorò la soave fragranza. Sem­bra che Dio abbia un naso e che gli piaccia eserci­tare anche l’olfatto entrando nel gioco delle realtà umane. E nell’Esodo Dio dà a Mosè una ricetta per un profumo tutto per sé quando l’uomo entra in contatto con lui. Pensiamo ancora oggi all’uso del­l’incenso». «È infatti significativo – sostiene lo psicoterapeu­ta  Claudio Risé  – che quasi tutte le culture religio­se accompagnino ancora oggi i propri riti con in­censi o altre fragranze. I popoli tradizionali gli ri­conoscono ancora qualità potenti: per i Borobo­ro del Brasile (come per Ippocrate) l’odore del cor­po esprime la forza vitale di una persona. Ma dal­l’Illuminismo in poi l’olfatto ha perso prestigio, in quanto legato all’istinto e all’emozione, piuttosto che alla razionalità. E oggi il profumo industriale, dettato dalle mode, ha sostituito quello naturale». La 'lotta all’olfatto' è parte di un processo più am­pio che Risé ha affrontato in un pungente pamph­let Guarda, tocca, vivi. Riscoprire i sensi per essere felici (Sperling & Kupfer): «Io trovo che nella gran parte dei malesseri di oggi ci sia una grande di­stanza dal proprio corpo e dai propri sensi che di­venta distanza dalle persone umane, ma anche dal creato. E uno dei sensi più colpiti è l’olfatto, fondamentale per l’orientamento e strettamente legato alla vita, alla sua conservazione, al piacere e alla riproduzione. Una prova è il diffondersi del­le allergie che si sviluppano per l’assoluta disabi­tudine al dato naturale». E poi, «distogliendo il naso dalla pelle della perso­na amata, per attirarlo invece nei musei olfattivi (si moltiplicano quelli del profumo), genera un’in­quietudine sensoriale che potrebbe non essere e­stranea all’abitudine di 'tirare' dal naso qualsiasi sostanza. Le droghe sono infatti la sostituzione del rapporto del corpo e della psiche con la ricchezza degli elementi naturali. Non a caso il recupero più efficace dalla droga è quello che rimette la perso­na al contatto con la materialità dei corpi e della natura. La grandezza dell’olfatto è proprio ciò che spaventa i benpensanti: la sua capacità di reagire agli odori senza chiedersi il perché in base a un sa­pere istintivo e per nulla intellettuale».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: