sabato 16 marzo 2019
Il 21enne ivoriano del Genoa prepara la sfida al suo idolo Ronaldo: «Sono cresciuto giocando per strada e sognando Drogba. Devo tanto a babbo Alessio e mamma Angela che mi presero in affido
L’attaccante ivoriano del Genoa Christian Kouamé, 21 anni

L’attaccante ivoriano del Genoa Christian Kouamé, 21 anni

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Il ragazzo con gli occhi di sole. Nella giovane storia radiosa di Christian Kouamé c’è dentro uno spaccato dell’Italia più sana e più vera, quella dell’accoglienza e dell’inclusione. Nel suo sorriso fresco e contagioso di 21enne arrivato dalla Costa d’Avorio per giocare in Serie A, vedi il riflesso della speranza nel domani e la possibilità di salvezza da un mondo che sembra sempre sull’orlo dell’ultimo stadio.

L’appuntamento con questo ragazzone (185 centimetri su un fisico da gazzella) che farà parlare di sé, e non solo per la classe e le belle giocate d’attaccante di razza che deliziano il popolo genoano di Marassi, è davanti al mare di Pegli: sotto gli affreschi di Villa Rostan, l’elegante campo base del Genoa. Nel Genoa Cricket and Football Club, la società più antica d’Italia (anno di fondazione 1893), Christian ha portato la ventata calda, africana, della sua giovinezza esuberante ma sempre educata e composta. Dentro di sé conserva ancora la gioia del bambino che giocava «sognando Drogba. In suo onore porto la maglia n.“11”». Domani per lui è un grande giorno: quello della sfida contro il divino Cristiano Ronaldo e la Juventus stellare appena reduce dall’impresa di Champions contro l’Atletico Madrid.

«All’andata, a Torino, ero talmente emozionato che non ho avuto neanche il coraggio di chiedergli la maglia. Ronaldo per me è il “Calcio”. Sono da sempre un tifoso del Real Madrid e quando Cristiano indossava la “CR7” blanca mi piazzavo davanti alla tv e dicevo fra me e me: chissà cosa si inventerà oggi per far vincere il Real? Un mio gol domani alla Juve? Magari...». Sotto il suo cappellino da rapper anche i suoi occhi sorridono. Ha lo sguardo dolce Christian, e la profondità di pensiero che ricorda tanto quella del giovane Clarence Seedorf. Pippo Sapienza, un vita al Milan prima di approdare al porto dell’ufficio stampa genoano conferma. Dino Storace, storico pilastro della comunicazione rossoblù è letteralmente incantato da Kuoamé, un po’ come tutti i cuori innamorati del Grifone. Sorprende per maturità, così come stupisce nei movimenti in partita e durante l’allenamento di mister Cesare Prandelli.

«Da quando gioco in Italia ho avuto diversi allenatori importanti (Mandelli al Sassuolo, Vecchi alla Primavera dell’Inter, Venturato al Cittadella), da tutti io cerco sempre di ascoltare i consigli e di “rubare” quei segreti del mestiere che mi saranno utili per diventare sempre più forte», dice il nazionale Under 23 della Costa d’Avorio che fino a dicembre era la “spalla aprispazi” per il bomber Krzysztof Piatek, da gennaio al Milan. «Krzysztof non smette mai di segnare, anche senza di me – sorride – . Vede la porta come pochi, Piatek è un grande», continua il ragazzo nato nella piccola Bingerville, ma formatosi, anche come calciatore, ad Abidjan, la città più popolosa della Costa d’Avorio, quasi 4 milioni e mezzo di abitanti.

È lì, nei campetti spelacchiati di quartiere che è cresciuto, quello che per le sue lunghe e agili leve da scattista capitan Criscito chiama la “Pantera”. Sono venuto su a pane e pallone. In Costa d’Avorio si gioca in strada, dalla mattina alla sera. Specie al sabato, quando non si va a scuola, allora ci si ferma solo per mangiare e fare una doccia, poi si riprende a giocare finché c’è luce, e rispetto all’Italia là al mio Paese sembra far sempre giorno.

Tanto calcio e poco studio nella sua infanzia... Mio papà, Patrice che lavora all’ambasciata americana, un po’ si arrabbiava per questo mio correre tutto il tempo dietro a un pallone e spesso “dribblando” anche i banchi di scuola. “Prima il diploma Christian, poi il calcio” mi ripeteva. Non l’ho ascoltato, ho fatto di testa mia, con la complicità anche di mamma Georgette, lei gestisce un ristorante. I miei genitori comunque mi hanno lasciato libero di scegliere e alla fine quella del calcio si sta rivelando la mia strada.

Un percorso che rischiava di interrompersi sul nascere. Alla scuola calcio l’allenatore non mi vedeva proprio, non mi metteva mai in squadra e così restavo fuori dai tornei ufficiali. Da “scartato” tornai a giocare in strada, con i miei amici. Ma un giorno uno “grande” del quartiere mi disse una cosa che ha cambiato la mia vita... Da quel momento il mio cammino ha preso la direzione giusta.

Destinazione Italia, prima tappa a Prato.
Su segnalazione di un ex calciatore, Sahoure che aveva giocato da voi, nel 2013, io e altri quattro ragazzi ivoriani siamo arrivati in Italia per sostenere un provino. Il presidente del Prato, Paolo Toccafondi, ha subito creduto in me, mi prese e mi fece tesserare dalla Sestese.

E a Sesto Fiorentino trova una seconda famiglia.
Ero minorenne e potevo restare qui solo in affido. A quel punto si fanno avanti babbo Alessio e mamma Angela. Due trentenni, la loro casa è diventata la mia casa. Non c’è stato Natale o compleanno che non abbia trascorso con loro negli ultimi otto anni. E poi in quel fantastico 2013 è nato anche Niccolò, il loro bambino che considero il mio secondo fratello perché in Costa d’Avorio io ne ho già uno, Junior.

Gioca a calcio anche Junior Kuoamé?
No, di Kouamé calciatore c’è solo mio cugino. Era più forte di me... ma non ce l’ha fatta a sfondare, come tanti. Junior invece presto vorrei portarlo qui in Italia ma per farlo studiare affinché possa trovare un buon lavoro e mettere su famiglia anche lui.

Christian invece con lo studio ha chiuso?
Un giorno appena mi sarò sistemato con il calcio riprenderò a studiare. La cultura è importante. Parlo francese e anche un discreto italiano no? – sorride divertito – . Voglio mettermi a studiare l’inglese e leggere qualche libro in più. Il fatto è che appena finisco di allenarmi scappo a casa e devo continuare a giocare...

Giocare a cosa?
Con mio figlio Michael Joa. È la gioia più grande, la nostra, parlo anche per Koely, la mia compagna. È nato cinque mesi fa, una domenica mattina (alle ore 8.45) mentre ero in trasferta, a Bologna. È stata la più grande emozione della mia vita. Quel giorno abbiamo pareggiato (1-1), non ho segnato, ma in campo volavo leggero come una piuma...

Kuoamé si invola come una pantera sulla fascia, ma soprattutto gioca sempre con il sorriso.
È l’unica maniera che conosco per rendere al meglio in campo. Mi alleno ogni giorno a sorridere alla vita. Al mattino appena mi sveglio prego Dio e ripeto a me stesso: Christian tu sei un ragazzo fortunato perché giocare è diventato il tuo lavoro, ma soprattutto è ciò che sognavi da bambino.

Neanche il razzismo può metterlo di cattivo umore?
Una volta alla Sestese un avversario mi falcia in area di rigore e quando mi rialzo mi dice a muso duro “sei uno sporco negro”... Gli ho riso in faccia e gli ho risposto: io lo so che sono nero, ma sono anche quello che ti ha saltato e tu adesso hai causato il rigore contro la tua squadra, quindi sto messo molto meglio di te... I razzisti sono ovunque, ma ai loro insulti io consiglio a tutti di non reagire con la violenza, basta un sorriso per chiudergli la bocca.

Sorride anche quando sente il ministro Salvini alla tv che dice di fermare l’ingresso dei migranti nel nostro Paese?
Ognuno è libero di pensarla come vuole. Il ministro la pensa così, io la penso diversamente. Io come tanti ragazzi arrivati dall’Africa siamo qui per lavorare e per fare del nostro meglio. Punto ad arrivare al massimo livello, nel calcio ma anche nella vita di tutti i giorni il mio obiettivo è migliorarmi come uomo ed essere sempre un buon padre. Anzi scusate, ma adesso devo andare a giocare con il mio Michael.

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