lunedì 3 giugno 2013
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Il vero fenomeno musicale di questi tempi insieme entusiasmante e difficile per l’Asia, si chiama K-pop (kayo, in coreano). Ha in Corea del Sud le proprie radici ma centinaia di milioni di fan all’estero e lo scorso anno ha "fatturato" 3,4 miliardi di dollari, con una crescita del 28 per cento sul 2011. Sulle note e soprattutto attraverso il videoclip del suo Gangnam Style e del successivo Gentlemen, un personaggio come Psy, con tutte le caratteristiche dell’antidivo emerse da un copione ben scritto, è il frutto più maturo dell’ondata che come uno tsunami da un decennio percorre il continente d’origine e lambisce Nordamerica ed Europa. Un personaggio ironico e familiare, il provocatorio cantore dei "quartieri bene" di Seul, che ha totalizzato oltre 2 miliardi di visioni delle sue clip online, pur essendo ben lontano dal "glamour" dell’icona-sexy KIm Hyuna e dal carisma del "pioniere" Rain. Con aspetti di eccezionalità. Come sottolineato dal direttore esecutivo di Billborad Korea, Clayton Jin, uno degli spunti dietro al successo di Psy era di mostrare come il pop coreano sia potenzialmente qualcosa più che «giovani nubili e ragazzi di bell’aspetto che sfornano buona disco-music». Il successo di Psy, inoltre, si è alimentato e dell’apertura del personaggio e del crescente potere dei social media. A cavallo tra 2009 e 2010, la Federazione internazionale dell’industria discografica, per settimane ha posto il gruppo coreano 2PM in testa alle classifiche. Nonostante le critiche che hanno accompagnato il ritiro dal gruppo del suo leader, Jaebeom, i sei componenti superstiti da allora marciano in buona compagnia con personaggi del calibro di Black Eyed Peas, Madonna, Lady Gaga e Mariah Carey. Un successo travolgente, nato nel giugno 2008 con l’uscita dei due singoli Hottest Time of the Day e Time for Change. A partire da questa data, riconoscimento dopo riconoscimento, la boy-band ha avuto la strada aperta verso successo e riconoscimenti, incluso il disco di platino della Sony Thailandia per il singolo Heartbeat. Un successo meteorico. Mai come l’album Let Me Love, comunque, che nel 2000 portò l’apripista del K-pop Jo Sung-mo al record assoluto di vendite con quasi 2 milioni di copie e successivamente ad affondare nei ranghi affollati degli artisti K-pop. Questi, si sa, sono tempi difficili e qualcuno inizia a parlare di crisi per il "modello" K-pop. Crisi di incassi, forse, ma non di popolarità. La K-mania dilaga in Asia orientale e meridionale, in Paesi la cui tradizione manca di accogliere gusti ed esigenze del pubblico giovanile insieme a suggestioni globali. Per musica e marketing genere di "fusion", il K-pop ha come lingua d’eccellenza il coreano, ma con giapponese, cinese e inglese a supporto dell’esportazione. Più facile, allora, capire il fenomeno K-pop, che non può contare in partenza sul pubblico miliardario che fa la fortuna delle varie forme del pop cinese o sulla possibilità di essere colonna sonora dell’immensa produzione cinematografica indiana. Dietro un impressionante apparato promozionale che crea miti e li sostituisce a una velocità stratosferica (solo lo scorso anno sono stati registrati nelle classifiche sudcoreane 33 nuovi gruppi e 36 nuovi solisti), una lista infinita di gruppi dalla consistenza reggimentale (dai 12 membri della "storica" band Super Junior nel 2005, si arriva oggi a gruppi di cinquanta membri, divisi sovente in sotto-gruppi e in una pletora di personalità, capacità, stile... addirittura lingue di registrazione). A riaccendere entusiasmi e riempire le pagine di molte riviste di gossip dedicate sono soprattutto i solisti fuoriusciti, le loro interrelazioni con il mondo reale che si vorrebbero virtuali e segnate dallo star-system, non da necessità o slanci; reali capricci o sentimenti.Preparati per 1, 2, 3 anni, da case di produzione (come la Jyp Entertainment del "guru" del K-pop Park Jin-young o i "giganti" S.M Entertainment e YG Entertainment) e poi lanciati sul mercato: spremuti per pochi tour e ancor meno registrazioni e poi in molti casi dimenticati, gli idoli K-pop coreani o gli emuli stranieri esibiscono acconciature, abiti, mosse sulla scena, atteggiamenti davanti ai fan e alle telecamere, apparizioni e provvidenziali allontanamenti dalle scene... niente è lasciato al caso. Le performance, acrobatiche o, più spesso sfilate di costumi a ritmo di musica, carrellata di passi e movenze che il giorno dopo saranno moda, sono un capolavoro di coreografia e marketing. Ovviamente, vi è poi l’effetto imitativo per cui, a migliaia dal Myanmar al Vietnam, dall’Indonesia alla Thailandia, cercano nell’associazione ai modelli coreani effimeri passaggi televisivi e di classifica. Sotto di essi tutto un popolo giovanile che è il nucleo di un mercato di 600 milioni di utenti, colpito da uno "tsunami" che si chiama K-pop, che non ha ancora esaurito il suo slancio. In parte è anche una questione generazionale.L’ondata musicale coreana viene a coprire la fascia preadolescenziale e adolescenziale che cerca forse più modelli da imitare che veri artisti; alla caccia di personaggi che sanno unire glamour, moda, ruoli sovente spinti, ma mai di rottura che scandalizzano per l’ovvio, ma tranquillizzano per la loro prevedibilità. Senza dare un ruolo alla fede dei protagonisti, che includono una sostanziosa percentuale di cristiani dichiarati, ma anche senza farne un manifesto laicista o ateo. Non basta, tuttavia un ruolo pre-disegnato a fare dell’artista del momento un fenomeno meno che meteorico. Ecco quindi che, oltre a scalare le classifiche, i più quotati esponenti del K-pop provano anche a dominare piccolo e grande schermo. Personaggi immancabilmente giovani e belli, pronti a essere modellati e a fare da modello. Serbatoio dell’inesauribile produzione di soap-opera e drammi storici sudcoreani ma, per i più intraprendenti e fotogenici, anche proiettati verso il successo cinematografico. L’oggi trentenne Jung Ji-hoon alias Rain, sei album dal 2002, modello-cantante-ballerino-attore e produttore di se stesso, ha saputo costruirsi un mito. Da seguire, se possibile. Ninja Assassin, produzione Usa che la Warner Bros ha distribuito anche in Italia nel dicembre 2010, ha salutato la sua ricomparsa dopo un anno di ritiro usato per prepararsi fisicamente e migliorare le doti interpretative riportate alla fine su una pellicola di grande azione, ma di pochi dialoghi. Sul risultato finale molto si è discusso, ma sul fiuto del personaggio, no.
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