lunedì 27 luglio 2020
E' il primo successo in Italia per Sarri, decimo tricolore per Buffon
Juventus nono titolo consecutivo, un’impresa da record

Ansa

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La storia sono loro, nessuno si senta offeso: 9° scudetto consecutivo per la Juventus, 36° da mettere in bacheca, una monarchia assoluta che dura da un decennio, considerato che l’ultima anomalia nell’albo d’oro della Serie A risale al 2011, quando a trionfare fu il Milan. E’ stato un attimo fa, o forse no. Da allora: 3 trionfi di Conte, addirittura 5 di Allegri, uno per Sarri, questo, il primo titolo per l’allenatore in tuta che ha vinto ma non convinto. La verità è che Sarri era arrivato a Torino per cambiare la Juventus, ma forse la Juventus ha cambiato lui. Per il bel gioco si prega di ripassare. La rivoluzione è rimandata a data da destinarsi. E’ stato - questo - lo scudetto del post lockdown, dentro una stagione strana, interrotta, sospesa tra angoscia e scintille di un futuro ancora poco decifrabile. Ma non di sola Juventus ha vissuto la Serie A.

Oltre lo scudetto bianconero restano le vite degli altri. Note a piè di pagina di un romanzo scritto dai fuoriclasse, l’eterno Cristiano Ronaldo e il principe che divenne re, al secolo Paulo Dybala. Cosa resta, quindi? Resta Conte che si lamenta (dov’è la novità?), l’Inter che si inceppa e toppa un altro campionato, Lukaku che con i suoi gol fa dimenticare la coppia Icardi-Wanda, qualche giovane (Barella, Sensi) da rivedere a settembre. Restano negli almanacchi i gol di Immobile - finora sono 34, tantissimi, superato il record di Angelillo, ora va all’inseguimento dei 36 di Higuain - che però non bastano alla Lazio per essere competitiva fino in fondo. Bravo Inzaghi fino a prima della sospensione, poi è mancata la capacità si alzare il ritmo nel momento decisivo. Resta la cavalcata dell’Atalanta - che favola non è - resta una squadra che semina bellezza a uso e consumo dei profeti del calcio, resta la differenza marcata da Gasperini, che litigherà pure con tutti ma è uno dei pochi (veri) maestri di calcio, resta (ancora) un sogno Champions da rincorrere fino a che c’è fiato.

Oltre la dittatura della Juventus resta un campionato che non ha proposto veri antagonisti. Non lo è stato il Napoli passato da Ancelotti a Gattuso, che pure è stato abile nel ridisegnare i contorni di una squadra sfilacciata e restituire identità al gruppo. E che dire del Milan che ha cominciato e interrotto un abbozzo di rivoluzione con Giampaolo, per poi passare al «Normal One», quel Pioli che nel post lockdown è riuscito - lui sì - in un’impresa straordinaria. Con Pioli vince il merito. E quindi ciao Rangnick, il santone tedesco che già aveva trovato l’accordo con i rossoneri ed è stato rimpallato all’ultima curva. Avanti con Pioli, magari ancora a fianco di quell’Ibrahimovic che va per i 39 ma ancora si sente il migliore del mondo. A proposito di rivoluzioni: la Roma ha alternato entusiasmi improvvisi a depressioni, come da tradizione, confermando un Pellegrini da nazionale e perdendo per strada Zaniolo, probabilmente il talento più luminoso della next generation di giovani italiani che un infortunio ha costretto allo stop per lunghi mesi. E’ stato un campionato con una media-gol molto alta (oltre 3 a partita) ma l’unica vera novità dal punto di vista tattico porta dritti al Sassuolo. Il «Sarriball» non si è visto, il «mordi e fuggi» dell’Inter solo a tratti, la Lazio batte solchi antichi. E’ stato De Zerbi a lasciare una traccia significativa, con il suo gioco offensivo, con un’idea di calcio che coinvolge tutti (ogni azione parte dal portiere Consigli), con la spregiudicatezza di una squadra che ha affrontato gli avversari - sempre e comunque - convinta di poter vincere. I gol di Ciccio Caputo, la maturità di Berardi, l’esplosività di Boga, un Locatelli da nazionale, un Muldur sorprendente: se il Sassuolo riuscirà a trattenere i suoi gioielli allora il salto di qualità - e in Europa - diventa una possibilità concreta.

Nel bianco tra una riga e l’altra, dentro quegli acquari silenziosi che sono diventati gli stadi nel dopo pandemia, ecco il solito vecchio ingrippato Genoa che raggiunge la salvezza con le unghie, ecco la ferocia di un Mihajlovic che - superata la malattia - marchia a ferro e fuoco un Bologna dove brilla la stella di Barrow, ecco il mestiere di un navigante come Ranieri che alla fine raggiunge l’obiettivo con la Sampdoria, ecco gli applausi per il gioco del Lecce di Liverani e i fischi per il Torino - la delusione del campionato - ecco l’onesto Iachini che dà un senso ad una Fiorentina che si aggrappa a uno dei pochi campioni (sì, parliamo di Ribery), ecco l’inadeguatezza e le preventivate retrocessioni di Brescia e Spal, ecco un Balotelli nudo e fragile alla meta, ecco il Cagliari che con Maran faceva il solletico all’Europa e con Zenga è crollato, ecco l’immancabile giostra che (ri)comincia a girare, perché questo campionato sta per finire (mancano due giornate) e subito comincerà il mercato, piedistallo dove appoggiare i sogni per la prossima stagione, senza soluzione di continuità, perché il pallone e noi tutti ci siamo fermati tre mesi e adesso è ora di correre, correre, correre.

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