mercoledì 30 marzo 2016
Ci vuole più jazz per battere la crisi
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Della crisi economica globale era inevitabile risentisse anche il mercato del disco, da anni diviso in due parti ben distinte: una tristemente coerente con le assurde scelte di prezzatura delle major nell’ultimo ventennio, l’altra unica, piccola ancora di salvezza dell’oggetto- disco - possibile però solo grazie ad appassionati maturi con alto potere d’acquisto.  Da un lato infatti affollano gli scaffali le cosiddette novità, che mantenendo le medesime politiche di prezzo (venti/trenta euro a Cd) corresponsabili del crollo del mercato continuano a minarne le fondamenta facendo sì che artisti da cinquemila copie divengano numeri uno delle classifiche quando negli anni Settanta cinquemila copie le vendevano i numeri cento; dall’altro lato, la discografia prende fiato e torna al segno più soltanto con prodotti “deluxe”, ossia cofanetti di vario tipo e persino il vituperato vinile: faccende che solleticano i palati fini di chi veramente sa cosa sia la musica ma lo fanno a fronte di prezzi per forza di cose alti (alcuni cofanetti recenti, si veda quello di Eric Clapton in 33 giri, superano i 200 euro). Ma esistono altre vie per riportare nelle case la musica vera, non quella degli Mp3 o peggio ancora quella scaricata illegalmente? Una crediamo stia nel coraggio di nuove imprendi-torialità, con investimenti rischiosi centrati però sul concetto di musica come cultura ed oltre i recinti tradizionali del disco inteso come mero prodotto: ed è una via percorsa anche da noi, come potete leggere a fianco. Un’altra via sta, più banalmente, nel ripensare anche nelle major, con coraggio, il senso del produrre musica e quello del ca- talogo che si ha a disposizione: per sfruttarne il potenziale spostando magari il concetto di “deluxe” al mercato tout-court, rinunciando dunque a qualcosa fra libretti e packaging ma tornando a rendere accessibile a chiunque la musica in sé. E questa seconda strada, in fondo, non poteva che intraprenderla un’etichetta di jazz, da sempre musica di frontiera mirata a comunicare con la gente: e difatti la indica finalmente la Verve, fondata da Norman Granz nel 1956 e capace in sessant’anni di vita di lanciare nel mondo anche bossa nova, Diana Krall e Velvet Underground, insomma non solo jazz. È col jazz però che in questi giorni la Verve scardina le deleterie abitudini del mercato, celebrando i propri 60 anni con otto cofanetti di cinque album storici l’uno venduti a soli 18 euro, cioè 3 euro e 60 centesimi a disco. Per tornare alla musica come divulgazione e mirare al recupero di quanto perso abbassando i prezzi favorendo un riallargamento del pubblico: il quale potrà tornare ad ascoltare davvero Chick Corea, Stan Getz, Astrud Gilberto, Charlie Parker, Billie Holiday, Bill Evans, Oscar Peterson e quell’Ella Fitzgerald della quale sta per ricorrere il ventennale della scomparsa, e potrà farlo senza dover ricorrere a pur meritevoli antologie di quattro Lp in due Cd, figlie per solito di materiale libero da diritti e per quanto intriganti distruttive dei formati originali delle opere.  E non finisce qui, perché la conferma della visione etico-artistica di Norman Granz, che già negli anni Sessanta dichiarava «voglio portare la musica a un pubblico nuovo rendendo tutti consci di quanto essa sia elemento di cultura popolare», la Verve nel 2016 la sottolineerà osando anche di più: giacché sono in uscita a soli 15 euro vere e proprie chicche a 33 giri, formato come scritto in ripresa ma per solito su prezzi molto superiori (anche 40 euro…). Mentre 20 euro saranno sufficienti per risentire col suono caldo del riscoperto giradischi Ella & Louis della coppia Fitzgerald/Armstrong, Charlie Parker with strings, Night train di Oscar Peterson, Lady sings the blues della Holiday, April in Paris di Count Basie. E l’antologia di tutte le storiche esibizioni di Ella Fitzgerald denominate Jazz at the Philharmonic uscirà a prezzo medio a breve, anticipando a maggio altri vinili ancora (Coleman Hawkins, Getz/Gilberto…), ma anche - con le stesse politiche di prezzo - un Cd di inediti di Charlie Parker e cofanetti che si annunciano spettacolari di Louis Armstrong e Jimmy Smith, colui che rese celebre l’organo nel jazz e non solo. E tutto ciò già ha spinto l’altra storica etichetta Concord, che divide oggi con la Verve il tetto della Universal Music, a rilanciare per maggio in box da cinque Cd cadauno e sempre a 18 euro pure i capolavori di Miles Davis, John Coltrane, Sonny Rollins, Thelonius Monk, il mito della chitarra Wes Montgomery e ancora, ma ovviamente con titoli diversi, Bill Evans. Certo chi solo un lustro fa acquistava gli stessi dischi in analoghi cofanetti da 80/90 euro potrà seccarsi un poco, per quanto quelle opere (su Miles o Monk) contenessero anche libri critico-fotografici che ovviamente a prezzi ribassati non entrano più nei pacchetti odierni; però non è male, che i discografici si accorgano finalmente di dover cambiare politiche prima che la loro nave si inabissi in toto. E 18 euro per cinque capolavori di Peterson o Evans, comunque rimasterizzati e curati graficamente oltre che rispettati per i loro formati originali, sono veramente pochi: davvero possono far ricircolare il concetto di musica come arte per tutti che merita un (accessibile) ascolto vero. Forse se Norman Granz fosse ancora fra noi, ci avrebbe pensato prima… Ma a chi ama la musica basterebbe che i discografici odierni tornassero tutti quanti, magari anche nel pop-rock, a copiarne le lineeguida di quando la Verve nacque: come stanno facendo, meglio tardi che mai, i suoi eredi.
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