giovedì 5 dicembre 2013
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Lionel Messi, Cristiano Ronaldo, Franck Ribery. Parola di Michel Platini, l’assegnazione del Pallone d’Oro non era da lungo tempo così incerta: e allora bene, sediamoci, noi italiani, e godiamoci la suspence in attesa del fatidico 13 gennaio, ammesso e non concesso che davvero l’Oscar individuale del pallone 2013 interessi davvero così tanto all’appassionato medio. Una volta sì, che era diverso, e si capisce: il “boccione” messo in palio dalla rivista “France Football” nel 1956 e annesso dal moloch Fifa nel 2010 è stato per molto tempo quasi sempre proprietà del nostro campionato. Più dei grandi stranieri di stanza dalle nostre parti che degli indigeni, ma la morale è che anche il premio ai migliori piedi dell’anno solare metteva la Serie A al centro della galassia degli stadi. Difficile emozionarsi oggi, invece, per sapere a che punto della graduatoria finale si piazzerà Andrea Pirlo, unico rappresentante dell’Italia sia come nazionalità che come movimento. “L’architetto” di Brescia è, infatti, l’unico dei nostri (stranieri del campionato compresi) ad essersi intrufolato tra i 23 iscritti finali alla corsa al Pallone d’Oro, una delle novità blatteriane introdotte dopo la “fusione” del premio. Fatti fuori al taglio precedente Buffon e Balotelli, accompagnati tra gli altri da Tevez, Higuaìn e Vidal, gli unici tre importati dalla Serie A a essere stati considerati degni della compagnia di giro delle prime nominations. Pirlo, vale la pena ricordarlo, è già in discesa verso i 35 anni e ottenne il suo primo piazzamento nella graduatoria del Pallone 10 anni fa tondi tondi, nel 2003, reduce dal suo primo trionfo europeo con il Milan. Questo, forse, è l’aspetto del premio che, proprio tirandolo per i capelli, può indurre a qualche riflessione in chiave azzurra, con i Mondiali (quelli sì, che importano) alle porte. Crisi economica, sceicchi come se piovesse all’estero, un vivaio in crisi di identità non solo per motivi di denari, ma soprattutto per il trionfo delle filosofie dell’immediato. E i ricambi, specie in certi ruoli chiave, quelli che da sempre sono stati il vanto della via italiana al calcio, stanno cominciando a mancare: e non è onesto, né realistico puntare l’indice sui troppi stranieri del nostro torneo. Proprio dall’album del Pallone d’Oro, nel periodo contrassegnato dal dominio della Serie A (dal 1982 al 1998, 13 edizioni su 17 sono state vinte da un calciatore del nostro campionato), ecco anche tanti italiani, dal Pablito Rossi trionfante dopo il Mondiale spagnolo al golden Baggio del 1993, per tacere delle vittorie trafugate sotto il naso - sempre dubitare quando ci sono di mezzo gli sponsor - a Franco Baresi nell’89 e a Paolo Maldini a metà degli anni ’90. Persino Salvatore Schillaci, figlio di Palermo e di un Mondiale per lui fatato, potrà raccontare di un secondo posto tra i giocatori più forti d’Europa.Fino al 1995, vale la pena ricordarlo, il Pallone se lo giocavano solo tra indigeni continentali, altrimenti si può pensare che Diego Armando Maradona sarebbe passato all’incasso. L’esempio perfetto nel 1986, anno in cui il Pibe vinse praticamente da solo un Mondiale in Messico, mentre la critica europea premiò Igor Belanov, attaccante “moderno” della “moderna” Unione Sovietica del colonnello Lobanovskiy: 5 anni dopo, Belanov già sgambettava nella Serie B tedesca ed ebbe pure i guai suoi a causa di un furto di vestiti da un grande magazzino. Fa un certo effetto, comunque, rileggere quelle classifiche, quell’albo d’oro che saltava da un Platini alla coppia aranciorossonera Gullit-Van Basten e ancora a un Matthaeus e a un Weah, tutti di stanza tra Milano e Torino. Nell’edizione 1990, aggiudicata appunto al grande mediano dell’Inter trapattoniana, sette dei primi nove classificati erano visibili ogni domenica nei nostri stadi. Gli unici “intrusi” furono Gascoigne e Scifo, vale a dire due che di lì a poco, con le maglie di Lazio e Torino, si sarebbero uniti al circus della Serie A. E per Scifo sarebbe stato un ritorno. La saggezza popolare suggerisce che è meglio avere dei bei ricordi che non avere nulla: è con questo spirito, forse, che il calcio italiano deve non pensare troppo a questo tormentone del Pallone d’Oro, vinca il migliore e così sia. E se proprio abbiamo bisogno di suspence e di spunti per i dibattiti in ufficio e al bar, domani in Brasile c’è il sorteggio del Mondiale 2014. Lì sì, che c’è qualcosa di dorato in palio che interessa davvero e sempre interesserà.
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