mercoledì 15 giugno 2016
​Grinta e compattezza: il vero protagonista del convincente debutto azzurro è il ct Conte, capace di tirar fuori le qualità di un gruppo tanto bistrattato alla vigilia.
Orchestra Italia: sinfonia di operai
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Sorpresa. L’Italia ha battuto il Belgio. Nettamente. Chiaramente. Giocando a pallone, non esibendo figurine. Loro ne avevano tante, a cominciare dal mitico Fellaini che avevo lasciato in Brasile, due anni fa, spauracchio della povera Russia di Capello; per non dire di Nainggolan, ridimensionato a postino senza indirizzo. Noi no: l’Anonima Azzurra non proponeva neanche una di quelle antiche succose polemiche tipo “Baggio-Del Piero” (per non dire “Mazzola-Rivera”) che tanto male han fatto alla Nazionale. Protagonista unico, semmai, Antonio Conte. Tutti gli altri uguali a lui. Clonati. Lo aveva detto, non tutti l’avevano capito, anche perché non a tutti sorrideva l’idea di ritrovarsi ventitré imitazioni dell’odiamato tecnico della Juventus prestato a Tavecchio  nella delicata fase del suo insediamento. 

Poi, sul campo, davanti alla messinscena, s’è capito cosa volesse dire con quella battuta - partorita insieme a Buffon - che piace tanto nel Paese dei Proverbi: «Non sempre vince il più forte, vince anche il più bravo». Secoli prima, in sbrigativo dialetto, il Paron Nereo Rocco a chi gli diceva salomonicamente “vinca il migliore” rispondeva «speremo de no». Sintesi felice del calcio all’italiana, che vi piaccia o no. A Conte piace, perché c’è nato dentro. A Conte piace, perché non è necessariamente una rinuncia al gioco, anzi, semplicemente una trasformazione di pedatori illustri o meschini in un gruppo omogeneo, in Squadra; base naturale per poter esercitare quell’arma che ormai tutti ci copiano, il contropiede, frutto di un’intesa per taluni miracolosa, per quelli che ne sanno risultato di un lavoro duro e continuo, anche ossessivo, come hanno confidato alcuni azzurri. 

 Poi nell’azione del gruppo armato, una sorta di commando, una task force da combattimento, ecco esprimersi al massimo anche le qualità dei singoli così bistrattati alla vigilia. Dico per tutti - è facile - Giaccherini  e Bonucci, Bonucci e Giaccherini, due abilità complementari, due fisicità opposte, lo stesso spirito agonistico e tattico che si traduce - per i calcioalfabeti in un passaggio perfetto, in uno stop da manuale, in un gol da campione. Anzi: mezzo campione; Giaccherini corrisponde nella normalità alla sua statura da vecchio abatino, nell’eccellenza ti sa fare un tocco alla Baggio ed ecco l’Italia risorgere dall’eterno dubbio, eccola stringersi in un abbraccio corale rinunciando al pas d’adieu del protagonista, all’esibizione personale, per mostrare una delle fondamentali virtù del gioco di squadra: la solidarietà. Andate a fine gara, a quel contropiede che più italico non si può, a Candreva che si ritrova la palla da metter dentro per santificare a sua volta una prestazione eccellente; no, controlla la palla, vede dall’altra parte Pellè che alza la mano e chiede palla, gliela passa a misura, potente quando basta per sollecitare e ottenere la deviazione certa e inarrestabile alle spalle dell’ottimo Curtois.

Solidarietà? Come no. È solidarietà aiutare Eder a farsi italiano vero dopo il drammatico passaggio all’Inter che gli ha tolto dai piedi e dalla testa il gol; solidarietà è mettere una pezza allo smarrimento di Darmian; solidarietà è chiamarsi Insigne e starsene zitto e buono in panchina anche quando il Belgio mette in campo Mertens che a Napoli è il suo staffettista preferito; solidarietà è prendere atto che tutti, dico tutti, suonano nella stessa orchestra che non è la Berliner Philharmoniker di Von Karajan ma neppure l’Orchestra Casadei (peraltro apprezzabilissima, Romagna mia...). È esistita una leggendaria Orchestra Rossa, ecco la rinascente Orchestra Azzurra che ha avuto un maestro come  Bearzot, un altro che osava proporre il “tutti uguali” a un gruppo di campioni e gregari e esercitava sin verguenza il contropiede, il calcio all’italiana, ritoccandolo negli anni Ottanta con una “zona mista” che compiacesse anche i critici sputasentenze. Il Catenaccio di Conte è cosa da Duemila - 2.0 si dice - e spero non sia un’Odissea nello spazio ma anzi un oculato e emozionante procedere verso il traguardo più alto ch’io speranzoso le ho attribuito. Per l’Italia devi augurarti sempre il meglio. Dall’Italia calcistica devi aspettarti giusto quel che sa fare. Se qualcuno invoca spettacolo e qualità preciso che la vittoria sul Belgio è stata spettacolosa, la più bella partita degli Europei fino a ieri, la nostra squadra la più bella insieme alla Croazia; per la qualità, suggerisco di tener conto dei valori etici presenti in un gruppo di ragazzi e da loro esibiti per volontà di un maestro che ha osato inventarsi l’Intensità giusto per dispiacere ai fanatici del modulismo.

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