sabato 20 giugno 2009
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I l dialogo tra cristiani e musulmani non solo è possibile, ma doveroso. E quando gli chiediamo se è preferibile condurlo sul piano culturale, prima che religioso, Michel Cuypers risponde : «Il rimpianto padre Anawati, fondatore de l’Ideo (Istituto Domenicano di Studi Orientali del Cairo), al quale appartengo, amava ripetere durante la sua vita al servizio del dialogo tra musulmani e cristiani: 'Nessuna religione senza cultura, nessuna cultura senza religione'. Il dialogo deve rispettare queste due dimensioni perché sono indissociabili». Padre Cuypers, domenicano, è uno dei più autorevoli studiosi letterari del testo del Corano. Vive in Egitto, dopo alcuni anni trascorsi in Iran. Lunedì 22 interverrà al Comitato scientifico internazionale della Fondazione Oasis, a Venezia, che ha scelto come tema del suo incontro annuale la tradizione. Professor Cuypers, il mondo arabo attraversa tensioni contrastanti. Da una parte l’apertura del presidente americano Obama al Cairo. Dall’altra le vicende postelettorali in Iran. La preoccupazione s’intreccia con la speranza? «Non sono un politologo. Si tratta di realtà complesse che esigono analisi puntuali. Certo, il discorso del presidente Obama al Cairo è stato un avvenimento storico. I musulmani d’Egitto l’hanno accolto molto favorevolmente, con la speranza che venga meno lo spirito di 'confronto' sviluppato negli anni della presidenza Bush. Il fatto che Obama abbia un’ascendenza al tempo stesso sui musulmani e sui cristiani è di grande aiuto per lui». Obama si è riferito ripetutamente al Corano. Come lo ha fatto a suo parere? Strumentalmente? «No. Le citazioni che ha fatto del Corano erano state scelte molto opportunamente. Per il momento si può dire che il presidente degli Stati Uniti ha guadagnato i cuori dei musulmani. Di sicuro, tutti adesso attendono degli atti che corrispondano alla sua visione, che sicuramente è carica d’entusiasmo per il futuro». Per i suoi studi sul Corano lei è stato premiato dal governo iraniano. In particolare per quali approfondimenti? «Il ministero iraniano della cultura rilascia un premio per una ventina dei migliori libri pubblicati nell’anno precedente, in iranologia e in islamologia. Con mia grande sorpresa, questo riconoscimento mi è stato accordato per il libro The Banquet. A Reading of the fifth Sura of the Qur’an (Convivium Press, Miami, 2009) con il quale dimostro come il testo della Sura 5, che appare molto confuso ad una prima lettura, ma è in realtà molto ben composto, secondo tutte le regole della retorica semitica, che è parecchio differente dalla retorica greca alla quale noi siamo abituati». Come, appunto, va letto il Corano? Troppo spesso si estrapolano versetti che vengono interpretati con versioni di comodo... «E’ vero. Il Corano è un testo molto difficile da leggere, per noi occidentali del XXI secolo. Bisogna evitare di farne una lettura superficiale, secondo i criteri della cultura moderna. Il Corano è prima di tutto un testo liturgico, che nutre la preghiera pubblica e privata del musulmano, la parola di Dio. E’ in qualche modo simile a quello che per noi è un sacramento: attraverso il Corano, Dio tocca il cuore e l’intelligenza del credente musulmano che riceve la sua parola. Ma questa parola riveste un abito letterario e culturale molto particolare che noi non possiamo comprendere senza una seria iniziazione». La tradizione nell’islam in che cosa si differenzia dalla nostra tradizione cristiana? «E’ sempre difficile comparare delle nozioni che sono elaborate in contesti teologici differenti. La tradizione, nella fede cattolica, è anche, in un certo qual modo, un commento della Parola di Dio. Ma è un commento affidato alla Chiesa, sempre viva, che si sviluppa e si rinnova nel corso della storia, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Non è un insieme di testi chiusi, come nell’islam. Per altro, un grande problema è l’autenticità degli hadits: molti sono considerati apocrifi dalla critica moderna o dai musulmani riformisti». La tradizione quale importanza ha avuto ed esercita nella società musulmana? «Bisogna distinguere fra la tradizione religiosa propriamente detta, che è il riferimento più importante per la fede e la vita dei musulmani, e le tradizioni in termini sociologici, che sono ben più antiche dell’islam. Queste giocano un ruolo potente nelle società musulmane, che sono appunto tradizionali. La difficoltà è che spesso il popolo non fa differenza tra le due, come per la questione dell’infibulazione delle ragazze, in Egitto, che è considerata ancora come un obbligo religioso». La tradizione come viene interpretata dai fondamentalisti e, al contrario, dai moderati? «Le correnti fondamentaliste vogliono piegare la realtà sociale alle norme che erano quelle dell’epoca del profeta dell’islam. Una società considerata come ideale e da far valere per tutto il corso della storia. La tradizione è presa alla lettera, senza il possibile adattamento. Per le correnti moderate, invece, il realismo o il semplice buon senso impongono forzatamente degli adeguamenti: bisogna far riferimento all’intenzione profonda della tradizione, al suo spirito, piuttosto che alla sua lettera, segnata da precise circostanze storiche». Nella legislazione islamica ha influito di più la tradizione o la religione? «La legge islamica ( shari’a) che si è sviluppata nei primi secoli dell’islam ha la sua sorgente nel Corano e nella tradizione. Ma i testi legislativi del Corano sono poco numerosi rispetto a quelli della tradizione. Concretamente la tradizione ha giocato un ruolo maggiore nella costituzione della legge islamica. Da qui la necessità di distinguere le tradizioni consolidate da quelle deboli o addirittura false, come ha voluto fare la scienza degli hadith che si è molto sviluppata in islam».
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