venerdì 15 luglio 2022
Esce "Tempesta in giugno", la prima parte di quello che sarebbe dovuto diventare il capolavoro, incompiuto a causa della deportazione, della scrittrice nata Kiev nel 1903 e morta ad Auschwitz nel 1942
Irene Nemirovsky all'età di 25 anni

Irene Nemirovsky all'età di 25 anni

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Irène Némirovsky viene improvvisamente arrestata il 13 luglio 1942 (il marito la seguirà il 9 ottobre), per poi morire ad Auschwitz circa un mese dopo. Lasciava incompiuta un’opera intitolata Tempesta in giugno, che era poi la terza stesura incompiuta della prima parte di Suite francese, in vista della decisa riduzione dell’opera originaria. La vicenda del dattiloscritto, per una pubblicazione che arriverà alcuni decenni dopo, è così ingarbugliata da rappresentare, per come è raccontata dai protagonisti, uno dei motivi di sicuro interesse di questa edizione Adelphi (pagine 350, euro 20,00), che accoglie anche gli Appunti per “Dolce” e “Captivité”, ovvero le parti mai riscritte per il tragico precipitare degli eventi.

Una vicenda che vede in azione non soltanto il marito, ma anche Julie Dumot, e cioè la tutrice legale delle figlie Denise ed Élisabeth Epstein ma anche la custode di Tempesta in giugno, nonché Nicolas Dauplé, figlio di Denise, autore di due paginette indirizzate Al lettore. Completano il volume la premessa molto ricca di informazioni di un altro testimone, Olivier Philipponnat e il bel saggio che lo chiude di Teresa Lussone Un romanzo molto chic. La riscrittura di “Suite francese”. Ma veniamo a questo testo incompiuto. Di che si tratta? L’esercito tedesco sta invadendo la Francia. Al primo soffio delle sirene che annunciano i bombardamenti, le luci di Parigi vacillano e si spengono, «come candele al vento»: dopodiché il cielo si satura «di clamori». Così comincia Tempesta in giugno di Irène Némirovsky: gli abitanti della città vengono sorpresi nel sonno, ognuno affaccendato dentro il suo sogno, poco importa si tratti del mare «che spinge davanti a sé i ciottoli e le onde» o d’«una mandria di buoi che galoppa pesante facendo tremare il suolo con gli zoccoli». Una tragedia immane, insomma, comincia a consumarsi, ma il cielo pare rimanere indifferente, sigillato nella sua imperturbata bellezza: «Fuori, sotto quel cielo soave e trasparente, ogni casa era visibile, ogni tetto luccicava, ogni strada spiccava, azzurrina, tra i marciapiedi argentei rischiarati dalle stelle. Si distingueva persino l’effuso candore degli ippocastani in fiore». E ancora: «La primavera, con le sue notti luminose, si faceva beffe della prudenza umana. Mentre la Senna pareva concentrare su di sé ogni sparso chiarore, catturarlo e farlo danzare nei suoi flutti. Dall’alto doveva sembrare un fiume di latte». Quanto alta e solenne è questa notte, sideralmente lontana in se stessa, tanto è ingloriosa l’epopea di quest’umanità ansiosa e formicolante che sotto il suo cielo si va consumando.

Nel saggio già citato Teresa Lussone evoca “eroi ordinari”. E infatti acutamente parla di «Odissea al contrario, in cui i personaggi scappano dalle proprie case anziché farvi ritorno», «senza pathos, senza divinità», a mettere in scena «un popolo indegno di elogi, di cui si ride, ma non senza amarezza », fotografato dentro un sentimento di incredulità per aver già perso una guerra nemmeno iniziata. Al centro di tutto, c’è la grande famiglia dei Péricand: Adrien, che ha 51 anni ed è soprintendente del museo Ingres, sua moglie Charlotte, 47 anni, nonché i loro cinque figli, tra i quali spicca il primogenito Philippe, ventiseienne parroco a Paray-le-Monial, il quale, come ancora osserva Teresa Lussone, è, nel panorama del romanzo, la radiosa eccezione, che si staglia al di sopra di tutti i suoi parenti, codardi ed egoisti, definito addirittura negli appunti come il più “sovrannaturale”, ispirato com’è alla figura reale dell’adorato padre Bréchard, «forse l’unico personaggio» non riconducibile a quel processo di tipizzazione cui sono invece sottoposti tutti gli altri. Esule ucraina a Parigi, Némirovsky avrebbe a disposizione per restituirci questo suo affresco di drammatica storia contemporanea il modello sommo di Tolstoj e invece, anche sulla scorta della lettura appassionata di Aspetti del romanzo (1927) di E.M. Forster, non può non guardare alla tecnica dell’impersonalità flaubertiana e al Thackeray di La fiera della vanità (1848): che altro è, in fondo, questo Tempesta in giugno, se non una nuova declinazione di quella fiera all’altezza dei tempi drammatici e feroci di un’Europa affacciata sugli abissi dell’Olocausto? La capacità di penetrazione psicologica di Némirovsky, la sua ironica attenzione al sistema delle relazioni tra i personaggi, soprattutto quelle familiari, sono universalmente celebrati. Epperò, secondo Teresa Lussone, le novità sono più importanti, sino ad arrivare a una “rottura radicale” col suo passato, provocata – come del resto avviene a molti altri scrittori della sua generazione – da quelle nuove domande «su come rappresentare la guerra e la disfatta»: l’architettura si fa più complessa; la tecnica del montaggio cinematografico comincia ad avanzare i suoi diritti; i personaggi rivendicano il loro punto di vista; il comico irrompe. Tutti fattori che acuiscono ancor più la nostalgia per tutto ciò che non è stato.

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